Crisi e novità dei partiti in Europa
Quale Europa politica comincia a delinearsi alla luce dei risultati, in queste settimane, di tappe significative del grande «ciclo elettorale» europeo addensatosi nel 2017? Mi riferisco alle elezioni presidenziali in Francia e ad importanti elezioni regionali in Germania, alle indicazioni venute cioè dai due maggiori paesi dell’Unione (dove si continuerà a votare in funzione di altre imminenti o non lontane scadenze). E, in precedenza, indicazioni di indubbio interesse erano venute dalle elezioni parlamentari nei Paesi Bassi e dalle presidenziali in Austria.
Quel che comincia a delinearsi è dunque una maggiore consapevolezza politica europea, un’Europa politica più combattiva dinnanzi all’ondata populista e all’offensiva che la caratterizza di mistificazioni e di menzogne contro il patrimonio storico e la incontestabile validità del processo di integrazione e unità europea. Si tratta di una tendenza da consolidare e rafforzare decisamente tra persistenti difficoltà, ma in qualche modo la controffensiva europeista è partita.
A questa visione d’insieme dei risultati europei più recenti, va accompagnata naturalmente la visione delle loro ricadute in ciascun Paese dell’Unione, sapendo che soprattutto in alcuni di essi sono in atto crisi profonde degli equilibri politici e si manifestano al tempo stesso fenomeni di novità e di ricerca che possono sfociare in una dinamica feconda.
La vittoria di Emmanuel Macron ha introdotto uno stimolo assai forte, anche nel rapporto con la Germania e nel senso di uno spostamento in avanti dello storico impegno comune europeo dei due Paesi. Quella collaborazione e intesa franco-tedesca ha storicamente garantito la pace in Europa e costituito il fondamento della costruzione europea, al di là delle complesse problematiche che hanno da sempre segnato i rapporti e gli equilibri tra Berlino e gli altri partner della Comunità e quindi dell’Unione.
La vicenda elettorale francese ha mostrato nello stesso tempo la crisi dei partiti storici, la vera e propria caduta di uno di essi, e al tempo stesso l’apporto decisivo a una prospettiva di rinnovamento del sistema politico che può venire dall’emergere di nuove personalità coraggiose e altamente preparate e dalla sperimentazione di inedite alleanze di governo. Fondamentale comunque si rivela lo spartiacque rappresentato dal riconoscersi di partiti nazionali considerati di destra, di centro, di sinistra, nei fondamenti comuni della lealtà costituzionale e democratica («lo spirito repubblicano», come si dice in Francia), e della adesione al progetto di integrazione europea.
Ma per ciascuno dei partiti «storici» in diversi Paesi resta da superare la prova dell’alternativa tra il rinnovarsi e il deperire. In questo quadro si può parlare di una crisi peculiare e più profonda dei partiti di sinistra e socialisti?
Essi senza dubbio hanno sofferto e soffrono in modo particolare della più generale crisi del progetto europeo, e del ritardo nell’affrontarla con una risoluta capacità di rinnovamento, confrontandosi con i cambiamenti epocali in atto nel mondo e nelle nostre società. Si è logorato il loro rapporto con vasti strati delle masse popolari in una fase di aggravamento delle disuguaglianze e delle ingiustizie sociali. Eppure, l’Europa – a partire dall’Inghilterra laburista del secondo dopoguerra – è stata la patria del welfare state, di quei sistemi di sicurezza sociale che rispondevano al fine di bilanciare le logiche della crescita capitalistica (e, da ultimo, della globalizzazione), integrando lo sforzo dei partiti socialisti di diventare sinistra riformista di governo capace di incidere sulle politiche di sviluppo economico e sociale.
Ma la sinistra non è stata finora capace, in gran parte d’Europa, di ripensare e ristrutturare sistemi di welfare non più sostenibili. E in particolare in Italia, un sistema squilibrato che richiederebbe una riforma organica e profonda, e non mere «aggiunte» di erratici benefici per l’uno o per l’altro segmento sociale.
Tuttavia, a chi precipita giudizi sull’ormai fatale estinzione della sinistra e dei partiti socialisti, ha dato giorni fa risposte serie – per il partito più colpito, quello francese – Pierre Moscovici, ricordando come nel 1969 crollò, per gli errori compiuti rispetto alla guerra in Algeria, il partito socialista allora denominato Sfio, e come in un non lungo giro di anni esso riuscì a risorgere sotto la guida di François Mitterrand e sulla base di una nuova strategia.
Una cosa è fare i conti con drammatiche necessità di cambiamento degli assetti politici europei, nel campo stesso dei raggruppamenti caratterizzatisi in senso democratico ed europeista. Altra cosa è sventolare la bandiera del crollo di ogni riferimento storico, e dunque del nulla.
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