Quattro mesi per trovare un mago del software
In questo mondo e in questo tempo i più ricercati sono gli analisti e progettisti di software, siano essi specialisti, tecnici o dirigenti. Battono di poco gli ingegneri energetici e meccanici, anche loro molto richiesti. Buon sintomo di progresso, se non fosse che, per entrambi i profili, quasi un’impresa italiana su due deve setacciare il mercato dei senzalavoro per quattro o più mesi prima di darsi soddisfazione. Basterebbe avere il giusto curriculum e il gioco sarebbe fatto. Invece no. Le competenze latitano più del previsto, soprattutto nei domini tecnologici. Anche per questo il rapporto fra domanda e offerta di impiego, nella stagione della rivoluzione digitale, è tutto meno che vicino all’equilibrio.
Il grande pasticcio è fatto di cose piccole. Al solito. A sentire un osservatore indipendente come l’Ocse, si scopre che l’Italia è terza fra i Paesi più industrializzati in cui gli adulti hanno meno dimestichezza con la lettura, la scrittura e il far di conto. Succede a uno su tre, ci battono solo Cile e Turchia, anche perché il 36 per cento dei ragazzi italiani risulta avere qualità matematiche minime rispetto al resto del campione, valgono due su una scala di sei. L’organizzazione parigina ci pone agli ultimi posti in classifica quanto a livello di specializzazione, a competenze contabili e di marketing, nella gestione e nella comunicazione. Ci salva la capacità di apprendimento, paradigma della flessibilità nostrana. E’ un inizio, almeno.
Sono giudizi pesanti, ma gli esperti romani li definiscono frutto di una media in cui l’eccellenza nazionale ha tutti i mezzi per essere più elevata di quella straniera, ragione per cui assistiamo all’affermazione del «Made in Italy». Certo che se, come rivela l’Ocse, i nostri lavoratori fanno meno formazione degli altri, se abbiamo pochi laureati e un numero insufficiente di ricercatori da export (dovuta alla limitata conoscenza delle lingue), appare pacifico che la responsabilità delle malefatte congiunturali internazionali sulla disoccupazione che aumenta sia dalle nostre parti meno crudele di quanto già non appaia. La risposta alla débâcle sta in una nuova miscela di competenze cognitive e sociali. Bisogna crescere e adattarsi. Di più.
Con questo in mente, l’analisi del mercato disegna un agile portolano per chi cerca un lavoro davvero. Colpisce almeno un po’ che sia ancora l’economia verde a offrire il maggior numero di posti di lavoro: nel 2016, il 10% degli assunti dichiarava la professione di «bracciante agricolo». E’ un classico, siamo una terra ricca di risorse e di bocche da sfamare. Così non stupisce che i secondi più richiesti siano i camerieri. Professioni stabili e tradizionali.
Quelle che corrono hanno la cifra digitale nel Dna. Nel 2016 la domanda per gestore di reti e sistemi telematici è quasi raddoppiata, mentre è cresciuta del 50 per cento la richiesta di esperti di gestione finanziaria. In entrambi i casi, si richiede una manualità con il mondo del puntocom. Peccato che un’impresa su tre si confessi rassegnata a faticare almeno quattro mesi per ingaggiare l’ingegnere elettronico o delle Tlc di cui ha bisogno. Le statistiche dicono che anche complesso identificare il giusto macellaio o un saldatore. Mestieri necessari. Anche nella quarta rivoluzione industriale.
LA STAMPA