Quel tic tac tra voto e giustizia
A chi tocca la prossima tegola giudiziaria? Una volta giurava di essere in grado di prevedere gli infausti eventi (e di scongiurarli con prodigiosi talismani) il trapanese «Mago Luigi». Denunciato per truffa, si è dato alla politica. Candidando a Erice la moglie Cettina. Le tormentatissime «comunali» siciliane, che interessano un terzo dell’elettorato isolano tra cui due città importanti come Palermo e Trapani, restano dunque appese a quella domanda: quanto peseranno le denunce, gli arresti, gli avvisi di garanzia che giorno dopo giorno sgocciolano sulla campagna elettorale a tre settimane dal voto dell’11 giugno? «Noi non ci occupiamo di politica, facciamo indagini e processi», ha detto il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi rispondendo alle scontate polemiche sui tempi dei passaggi giudiziari, «Possono esserci delle coincidenze temporali casuali, ma parlare di giustizia ad orologeria è affrettato e ingeneroso». Sarà senz’altro così, tanto più in un paese che storicamente trabocca di scadenze elettorali. Ma certo lo sgocciolio assorda.
Riassumiamo gli ultimi mesi? A metà gennaio finisce nel tritacarne Fabrizio Ferrandelli, il vincitore delle primarie democratiche palermitane nel 2012 che stavolta è il candidato della destra. Ad aprile ecco la richiesta di rinvio a giudizio per 14 grillini, tra i quali tre parlamentari inquisiti per le firme (false) raccolte per le stesse comunali precedenti. Giovedì scorso tocca al barone Antonio D’Alì, senatore, aspirante sindaco di centrodestra a Trapani, azzoppato dalla richiesta di obbligo di soggiorno in quanto «socialmente pericoloso». Ieri mattina, l’arresto del suo principale avversario alle Comunali, il deputato regionale e già sindaco di Trapani Girolamo Fazio, per (presunte) mazzette su contributi riguardanti il trasporto marittimo. Ieri pomeriggio, infine, la notizia dell’avviso di garanzia a Rosario Crocetta, citato 19 volte negli atti dell’inchiesta su Fazio e sull’armatore Ettore Morace, lui pure agli arresti per corruzione, padrone del Trapani Calcio e della Liberty Lines, recentemente premiata dal governatore con una «speciale attestazione di merito come azienda di eccellenza».
Non bastassero, ecco i contorni. Come le indagini, ancora per corruzione, sulla sottosegretaria al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la palermitana Simona Vicari, che avrebbe ricevuto in dono, per un «piacerino» (un emendamento che riduceva l’Iva sui trasporti marittimi dal 10 al 4%) un Rolex d’oro. O le tossine sparsi dentro il M5S con l’audio su Facebook di un dialogo malevolo su Ugo Forello, animatore di Addiopizzo e candidato pentastellato nel capoluogo. Niente di nuovo, per una politica siciliana da sempre avvelenata dalla corruzione, dal clientelismo, dalle lettere anonime, dai ricatti più infidi. Ma i nuovi nuvoloni giudiziari vanno a rendere ancora più cupo un cielo già fosco. Peccato. Perché ancora una volta, come spesso è accaduto in passato, il voto siciliano può fornire alcune indicazioni sul cammino che potrebbe imboccare l’Italia. Come andrà a finire? Mah… Se i sondaggi per le «regionali» previste per il 5 novembre danno in netto vantaggio il movimento di Grillo che qua e la è accreditato addirittura del 38%, non è scontato che queste comunali che chiamano al voto 1.663.686 abitanti possano andare così favorevolmente. Per la prima volta, però, i grillini non si presentano a macchia di leopardo ma con candidati loro in tutti e 37 i Comuni principali. Sfonderanno?
A sinistra può darsi. La maggioranza che guida la Regione «nella formula che comprende Pd, Ap (alfaniani più centristi di D’ Alia) e Pdr di Cardinale», come nota sul Giornale di Sicilia Giacinto Pipitone, «non va unita in nessuno dei grossi centri chiamati al voto». Peggio: qua e là la spaccatura non è solo politica ma personale. E marcata da rancori intestini così profondi e callosi da sfociare in candidature contrapposte e a volte nella rinuncia al simbolo. Rancori che, dopo anni di fratture e sfoghi d’odio, restano anche a destra (come appunto a Trapani dove sono o erano l’un contro l’altro armati Antonio D’Alì e Girolamo Fazio) ma sono stati quasi ovunque superati, stavolta, dal tentativo di metter su delle liste unitarie per tornare infine a vincere dopo una serie di sconfitte. Dice tutto il caso di Palermo, dove appoggiano Fabrizio Ferrandelli perfino quelli che lo conoscono da quando era un bellicoso dipietrista che esaltava l’attuale avversario, Leoluca Orlando («il primo e unico sindaco di cui Palermo non debba vergognarsi») e faceva lo sciopero della fame contro il suo miglior alleato di oggi, quel Totò Cuffaro che riconosce come un prezioso consigliere e additava ieri come «limitrofo alla mafia». Misteri siciliani. Dove il rovesciamento delle alleanze, la rottura di amicizie che parevano granitiche, lo scambio di «spagnolesche cortesie» con nemici acerrimi convenuti a nuove collaborazioni, fanno parte di una storia antica. Storia che, da sempre, ha visto la partecipazione più o meno discreta di quelli che anche negli ultimi giorni sono stati, volenti o nolenti come dice Francesco Lo Voi, tra i principali protagonisti. I magistrati. I quali, a occhio e croce, potrebbero avere qualcos’altro da dire…
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