Caos Pd sulle intercettazioni, scontro aperto Orlando-Renzi
L’intercettazione tra Renzi padre e Renzi figlio «non doveva uscire». Il ministro della Giustizia Andrea Orlando rompe il silenzio sul caso Consip e, intervistato da Repubblica, spiega che quella telefonata «non doveva stare sul giornale, perché non ha alcuna rilevanza penale, e quindi non doveva stare neppure tra gli atti processuali».
Dal caso di un’inchiesta condotta con metodi che appaiono sempre più inquietanti, però, il Guardasigilli (già antagonista sconfitto di Matteo Renzi alle primarie) prende lo spunto soprattutto per perorare la causa del «suo» ddl penale, all’interno del quale – oltre al regalo alla magistratura sull’allungamento della prescrizione – c’è anche una delega al governo sulle intercettazioni. Non, spiega Orlando, per «limitarne in alcun modo l’utilizzo come strumento di indagine», ma solo per «mettere paletti più stringenti per evitare la diffusione di conversazioni che non hanno rilevanza e per evitare fughe di notizie».
E in realtà, anche se il ministro non lo dice apertamente, la sfida è proprio a Renzi e al suo Pd, accusato di voler rallentare il cammino del ddl, già approvato con la fiducia al Senato. Fiducia che ora Orlando vuole anche alla Camera, per evitare modifiche che allungherebbero l’iter: «Mi auguro che tutto il Pd si convinca del fatto che c’è una contraddizione tra il denunciare l’utilizzo improprio delle intercettazioni e tenere ferma la legge».
In casa renziana l’esternazione a doppio taglio del ministro non è piaciuta, viene giudicata eccessivamente strumentale usare il caso Consip per ottenere la fiducia e forzare le perplessità dei centristi di maggioranza. E viene sottolineata la grande lentezza di Orlando nell’intervenire sul caso; e la tiepidezza di chi è titolare dell’azione disciplinare nel denunciare le storture sempre più apparenti e gigantesche dell’operato di una Procura. E c’è chi fa notare come siano più dure e consone all’eccezionalità del caso le dichiarazioni del capo dell’Anm. Secondo Eugenio Albamonte, che nel sollievo generale ha sostituito Piercamillo Davigo alla guida del sindacato dei magistrati, «la pubblicazione di intercettazioni come quella riguardante Renzi padre con il figlio, ancora coperte da segreto investigativo, è gravissima: è un reato». Albamonte smentisce poi Orlando sulla connessione tra caso Consip e urgenza di approvare il ddl penale: «La riforma non c’entra nulla con i casi di questi giorni: le intercettazioni sono state pubblicate in violazione di segreto, mentre la riforma presuppone di migliorare la disciplina dopo che il segreto è venuto meno», spiega. Durissimi i penalisti italiani, che in un comunicato denunciano nell’inchiesta Consip un «attacco gravissimo e senza precedenti alla funzione difensiva», protetta dalla Costituzione. E liquidano il ddl Orlando come «insufficiente per arginare la grave deriva illiberale ed autoritaria e le prassi degenerative che ne conseguono».
Secondo un sondaggio Ixè per Agorà, ben il 56% degli italiani ritiene sbagliato aver pubblicato le intercettazioni tra Renzi e il padre, mentre solo il 37% lo ritiene giusto. Per il 39% Renzi è più debole dopo le l’operazione messa in atto dal Fatto Quotidiano e dagli inquirenti. Mentre per il 42% è più forte.
IL GIORNALE