Qualche idea per Renzi da mettere nell’Europa di Macron
di EUGENIO SCALFARI
NEL nostro mondo attuale ci sono due centri operativi che poco hanno a che fare col passato prossimo. Forse qualche rapporto con quello remoto, ma questo tuttalpiù è storia, non analisi politica.
Di questi due centri uno è negativo e fa capo a Donald Trump; riguarda il mondo intero perché Trump è il presidente degli Stati Uniti d’America che sono ancora il più grande impero politico e militare dell’intero pianeta, anche dal punto di vista dell’economia con il dollaro che consente e facilita gli scambi mondiali.
L’altro centro, questo positivo, ci conduce ad Emmanuel Macron, presidente della Francia da pochi giorni ma già operativo con stupefacente velocità e con conseguenze largamente positive per la Francia ma anche in generale per l’Europa.
Noi italiani registriamo gli effetti negativi del primo e quelli positivi del secondo e cerchiamo (dovremmo cercare) di limitare le conseguenze negative di Trump e di utilizzare quelle positive di Macron.
Paolo Gentiloni, capo del governo in carica, oltre ad essere preso dai problemi interni riguardanti il lavoro, i ceti più poveri e derelitti, le zone economiche devastate dai terremoti, il Mezzogiorno, i populismi di vario genere, si occupa anche di conoscere e farsi conoscere dai vari capi di governo in Europa e nel mondo, ha già incontrato Merkel, Macron, Trump, Putin, i capi delle istituzioni europee, il rais egiziano, la leader dell’Inghilterra, i leader cinesi e insomma mezzo mondo.
Occorre ricordare che Gentiloni ha dimostrato di essere un lavoratore indefesso. Il suo governo da questo punto di vista è uno dei migliori che l’Italia abbia avuto dopo quello di Prodi del 1996. Purtroppo l’Italia che Gentiloni sta governando da pochi mesi è ancora pervasa dalle conseguenze della lunga crisi economica iniziata nel 2006 e tuttora in corso visto che si è trattato d’un disastro economico altrettanto grave come quello americano e poi europeo entrato ormai nella storia e iniziato nel 1929. Non bastano certo pochi mesi per uscire da quella situazione anche se alcuni rimedi e riforme furono effettuati dai governi di Monti, di Enrico Letta e poi da Renzi prima della sconfitta referendaria del 4 dicembre dell’anno scorso. Gentiloni potrà fare molto di più se gli verrà assicurata, come si spera, la continuità del suo operato fino alla fine della legislatura nel 2018.
Non dimentichiamo che uno dei punti della massima importanza che il governo italiano dovrà risolvere al più presto riguarda il contenimento dell’immigrazione. A questo proposito ci risulta che ci siano stati effetti positivi nell’incontro tra Gentiloni e Trump per quanto riguarda l’eventuale dislocazione di un contingente militare italiano nei Paesi del Centro Africa da dove proviene gran parte dell’immigrazione. Naturalmente Trump si guarda bene da assumere impegni di tipo militare che non sarebbero comunque consoni alla posizione americana verso l’Africa, ma sembra abbia prospettato la possibilità di aiutare lo sforzo italo-europeo con investimenti che finanzino almeno in parte quell’operazione.
E veniamo all’Europa dopo la vittoria di Macron.
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Il primo effetto, che oltre alla Francia riguarda anche noi, è stata la secca sconfitta di Le Pen; una sconfitta bruciante che equivale ad un 3 a 0 di un confronto calcistico. Lei aveva detto che in questo caso avrebbe abbandonato la politica lasciando il suo partito nelle mani di sua nipote. Come si vede si tratta di un partito di tipo monarchico dove le successioni vengono stabilite attraverso le parentele, ma la nipote non ha accettato ed è lei che se n’è andata a fare la bella vita al di fuori della politica. Le Pen non pare che ne sia stata particolarmente addolorata, anzi vuole riprendere il suo lavoro politico e cambiare profondamente il partito che è stato sconfitto. Quale tipo di cambiamento voglia fare è assolutamente ignoto e praticamente difficile da prevedere. Ce lo diranno i fatti.
Nel frattempo Macron ha nominato il primo ministro del suo governo nella persona di Philippe che proviene dalla destra francese. La scelta degli altri ministri, avvenuta d’accordo con Philippe, ha seguito alcune linee molto chiare. I problemi dell’economia sono stati affidati a ministri esperti di quelle materie o addirittura operativi in privato e quindi provenienti da fondi di investimento, banche, imprese industriali e capacità finanziarie.
Affidata l’economia francese alla destra liberal- liberista, Macron ha affrontato il problema dei poveri e degli esclusi ed anche lì ha fatto delle ragionevoli scelte utilizzando la cultura social-riformista di persone esperte di questa materia e della cultura sociale che l’accompagna, e quindi educatori, insegnanti delle Scuole dello Stato e insegnanti di varie e prestigiose università. Poi c’erano da designare i candidati del movimento di Macron per le future elezioni parlamentari ed anche lì si è fatta varia cernita delle provenienze politiche, ideologiche, culturali dei vari prescelti. Macron si augura di ottenere un’ampia maggioranza e probabilmente sarà così.
Nel frattempo però, oltre che a mettere in moto problemi che riguardano la governance macroniana, il nuovo personaggio europeo doveva occuparsi immediatamente di ricostruire quello che è stato per molti anni il motore dell’Unione: il tacito ma ben noto accordo franco-tedesco che di fatto guida la politica europea per quel tanto che essa è concentrata nelle istituzioni dell’Unione ed anche ben presente nelle aule parlamentari. Merkel ha accolto la visita di Macron e la ricostruzione del tandem tra le due nazioni più importanti del nostro continente, per la storia e per l’attuale potere di ciascuna delle due. Naturalmente quello della Germania è, almeno dal punto di vista economico, ben più elevato di quello della Francia, ma in ogni caso una Germania isolata non può far molto e quindi il tandem è stato ricostituito immediatamente e ne sentiremo le ripercussioni al più presto. Non possono che essere positive per Paesi come l’Italia perché, a parte l’europeismo sperabilmente sincero ed intenso di Macron, la Francia chiede ed anzi finirà con l’imporre la politica di crescita economica. Del resto Merkel è disposta a consentire la crescita, ne ha parlato varie volte anche col suo ministro delle Finanze il quale mette qualche limite ma non si oppone purché sia una crescita ben diretta e in proporzioni accettabili, ferme restando comunque le regole della Commissione di Bruxelles.
Naturalmente il motore franco-tedesco serve ma ha poco a che vedere con un europeismo che voglia arrivare in un tempo relativamente breve al rafforzamento dell’Unione europea, ad una diminuzione graduale del sovranismo dei 27 Paesi ed alla formazione di istituzioni che puntano agli Stati uniti d’Europa. La prima riguarda la politica dell’immigrazione, la seconda l’istituzione di un unico ministro delle Finanze dell’eurozona di cui si parla da tempo e sembra essere stato finalmente accettato ma le cui pratiche fondative non sono ancora pronte; la terza è la fondazione di una Fbi e di un ministro dell’Interno europeo che coordini tutto ciò che riguarda problemi dell’ordine pubblico connessi ancora una volta con le periferie dei singoli Stati e il trattamento delle accoglienze ai rifugiati.
Infine c’è un tema che Renzi a suo tempo sollevò e che dovrebbe riprendere proprio adesso dopo la vittoria di Macron. È l’idea di un referendum popolare di tutti i cittadini europei indipendentemente dalle nazioni cui appartengono per la scelta di un Presidente che non sia un semplice portavoce dei 27 Stati confederati. La sua elezione dovrebbe essere accompagnata da quella di un gruppo di una settantina di membri di una costituente che abbia il compito di presentare entro un paio d’anni una nuova Costituzione che diventi la fondazione ufficiale dello Stato Europa.
Personalmente non so se questa idea piacerà a Macron ma Renzi l’ha lanciata, se ne faccia dunque non voglio dire un’arma ma uno strumento che lo distingua e dia all’Italia una funzione conducente che può provocare dissensi ma certamente va nella strada dell’europeismo di cui Macron ha fatto la sua bandiera e che non può certo rifiutarsi di esaminare positivamente.
Di questioni in ballo, come si vede, ce ne sono già molte e per quanto ci riguarda le abbiamo più volte indicate. Ora, dopo la vittoria di Macron, tutte hanno acquistato una attualità che in qualche modo si era perduta. Per quanto riguarda l’Italia ed anche l’Europa abbiamo due nomi che possono contare molto in questa dinamica europeista. Non parliamo di Gentiloni perché di lui abbiamo già detto e riconfermiamo che il suo buon governo deve poter durare per tutta la legislatura affinché abbia il tempo di fare quel che può e deve fare. Gli altri nomi sono Renzi e Draghi. Secondo me il secondo è ancora più importante del primo, sebbene lavori in un ambito molto specifico anche se fondamentale per quanto riguarda l’economia, anzi la politica economica e monetaria di tutta l’Europa che ha adottato la moneta unica. La prima questione che dobbiamo tener ben presente è che un’Europa federale, quando si realizzerà e nella speranza che prima o poi questo avvenga, non può che avere un’unica moneta. Attualmente 19 sono i Paesi dell’euro e 8 sono i Paesi che hanno la propria moneta. È evidente che in uno Stato federale non esiste altro che una moneta e perciò gli 8 se vogliono restare nell’Unione debbono accettare l’euro altrimenti resteranno fuori anche se legati all’Unione da patti di libero scambio e di unità bancaria e potranno, se vorranno, optare anche in un secondo tempo per la moneta dell’euro. Questo tema dobbiamo però averlo ben presente perché sarebbe assurdo pensare che la Virginia ha una moneta, la California un’altra e la Florida un’altra ancora e così via, tante monete diverse in uno Stato come quello americano? È evidente. Su questo bisogna lavorare e Draghi lo sa molto bene. Infatti ormai parla quasi sempre in chiave europeista. C’è solo un punto che ci permettiamo di raccomandargli: la sua politica monetaria espansiva terminerà con tutta probabilità l’anno venturo ma per quanto riguarda l’Italia gli suggeriamo molta attenzione: la diminuzione del sostegno monetario la faccia anche per noi naturalmente ma con la necessaria gradualità perché l’Italia è ancora economicamente molto fragile e sarà bene tenerne conto gradualizzando quel minore sostegno monetario che è nell’ordine dei fatti.
Infine ancora una parola per quanto riguarda Renzi e la legge elettorale. Tutti i progetti fin qui apparsi dalle varie forze politiche, Partito democratico compreso, mi sembrano incongruenti e comunque su quella base non si arriverà a nessun accordo. Ho più volte ricordato quale fu la storia elettorale della Democrazia cristiana. Durò quarant’anni e fu basata esclusivamente sulla proporzionale ma anche sulle alleanze, queste alleanze spesso venivano effettuate con la presentazione di liste di coalizione specie quando i partiti con i quali si alleava erano abbastanza forti da non aver bisogno di liste comuni.
La situazione attuale italiana è tripolare: una destra, un centrosinistra e il Movimento 5 Stelle che non può allearsi con nessuno, in parte perché non lo vuole ma soprattutto perché se si alleasse il primo risultato sarebbe quello di sfasciarsi. Per gli altri due però non vale questo problema e quindi Berlusconi ha come alleati naturali Salvini e Meloni e Renzi ha come alleati naturali la sinistra democratica che è uscita dal partito e si raccoglie, almeno in parte, attorno a Pisapia. Un’alleanza con Pisapia sarebbe estremamente opportuna ma non l’inclusione in un’unica lista bensì la coalizione tra le due liste che incoraggerebbe di molto una sinistra popolare che ancora vive nell’astensione e nell’incertezza. Avrebbe probabilmente un risultato molto importante. Così pure lo avrebbe (e sarebbe perfettamente compatibile con l’alleanza a sinistra) un’alleanza al centro con un movimento come quello di Parisi, un partito come quello di Alfano, e molti altri centristi che stanno sia alla Camera che in Senato. Dopo di che un impianto del genere consente un proporzionale senza sbavature e una probabilità notevole di vittoria per quanto riguarda il Pd visto che Grillo non può allearsi con nessuno e Berlusconi dovrebbe digerire un osso duro come quello di Salvini che, specie dopo la disfatta di Le Pen, finisce a ridosso di Putin. Vi sembra possibile un Berlusconi alleato con l’alleato di Putin? Sarebbe lo sfascio di Forza Italia.
Renzi si dia dunque da fare, di lavoro ne ha un bel po’ e speriamo che ci metta la forza e l’entusiasmo necessari. Nel mio precedente intervento la settimana scorsa gli avevo anche indicato alcuni “cavalli di razza” che avrebbero dato al partito una visibilità culturale di primissimo ordine. Avevo fatto anche alcuni nomi e non desidero ripeterli ma Renzi sa benissimo quali sono. Se riesce a non cedere al suo caratteraccio di capobastone, tenga conto che quei nomi avrebbero un effetto estremamente interessante sulla pubblica opinione ancora in gran parte indecisa tra il voto e l’astensione. E buona fatica per chi se la merita.
REP.IT