Svolta strategica nel Golfo
La rielezione di Hassan Rohani in Iran e l’arrivo di Donald Trump in Arabia Saudita segnano l’inizio di una nuova fase del duello Teheran-Riad per l’egemonia in Medio Oriente con un brusco rovesciamento dell’equilibrio di forze fra sciiti e sunniti.
Se la «scommessa dell’accordo nucleare era anche rivitalizzare l’economia iraniana» – come spiega Sanm Vakjl, analista di Chatam House – questo non sta avvenendo a causa della struttura interna di una regime che assegna le redini della produttività ad una struttura militare sulla quale il presidente non ha controllo. Il fatto che i Guardiani della Rivoluzione abbiano sostenuto Raisi nella campagna presidenziale conferma la sfiducia nei confronti di Rohani, indebolendo ulteriormente la sua leadership economica già fiaccata da un prezzo del greggio sceso alla metà del valore del 2014 con conseguenti difficoltà di bilancio. Se la ricchezza dell’Iran si basa su greggio e bazaar entrambi al momento sono assai deboli. A ciò bisogna aggiungere il cambiamento di strategia degli Stati Uniti: il presidente Obama aveva scelto di individuare in Teheran il partner per la stabilizzazione del Medio Oriente, a scapito dei legami con Riad e Gerusalemme, ma l’incendio di crisi in atto dimostra che l’esito è stato negativo ed ora il successore Trump procede in direzione opposta. Contenuti e simboli del primo viaggio all’estero del nuovo presidente Usa descrivono la svolta. Trump ha scelto Riad come tappa iniziale – e più lunga – facendola coincidere con la partecipazione a due summit con i Paesi sunniti: con la coalizione militare anti-terrorista sulla guerra ai jihadisti del Califfato e di Al Qaeda, con il Consiglio di cooperazione del Golfo sulla risposta alle «aggressioni iraniane». I sunniti, guidati da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, si sentono stretti nella morsa di due nemici diversi – i jihadisti e l’Iran – il cui scopo comune è la demolizione degli Stati nazionali arabi. Sarà questa la tesi che esporranno a Trump, consapevoli che la Casa Bianca l’ha già fatta propria con le dichiarazioni del capo del Pentagono James Mattis secondo il quale «ovunque c’è un problema in Medio Oriente spunta l’Iran» e «i jihadisti vanno non solo accerchiati e sconfitti ma del tutto eliminati». Se a ciò si aggiunge che Mohammed Bin Salman, vice principe ereditario e uomo forte del regno saudita, sta negoziando con il Segretario di Stato Rex Tillerson una partnership energetica che punta, entro il 2030, a andare oltre il greggio diversificando le risorse, non è difficile dedurre il riassetto in corso nel Golfo. Il gesto simbolico che racchiude quanto sta avvenendo è stato compiuto dal re saudita Salman, allungando la mano per stringere quella di una donna a capo scoperto: Melania Trump. Il regno wahabita guarda a Occidente per frenare l’espansione sciita lungo i suoi confini: dagli hezbollah in Siria e Iraq agli houti in Yemen.
Se durante gli anni di Obama, l’Iran è riuscito a rafforzare la propria penetrazione in Iraq, Siria, Yemen e Bahrein ottenendo al contempo di conservare il nucleare e la fine delle sanzioni, ora il pendolo torna in direzione di Riad, offrendo al fronte sunnita l’opportunità di costruire una nuova alleanza militare ed economica con gli Stati Uniti e i suoi alleati. Basta mettere piede alla Casa Bianca per sentir spiegare dal consigliere per la sicurezza McMaster che «il problema è l’Iran» a causa di sostegno al terrorismo e sviluppo di armi di distruzione di massa. Il rovesciamento di equilibrio nel Golfo a favore dei sunniti è destinato ad avere conseguenze a pioggia in più angoli del Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq fino al conflitto israelo-palestinese grazie all’intensificazione dei rapporti – sempre meno segreti – di sauditi ed emiratini con lo Stato ebraico. Poiché Iran e jihadisti sono anche i più pericolosi nemici di Israele, i leader sunniti considerano Benjamin Netanyahu un alleato de facto. Nulla da sorprendersi se a Teheran il nervosismo sia palpabile, testimoniato dalle parole di fuoco rivolte dal ministro della Difesa, Hossein Dehqan, ai sauditi: «Se faranno qualcosa di stupido, dell’Arabia non resterà altro che Mecca e Medina».
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