Legge elettorale, ora Pd e Fi trattano. Ma Berlusconi vuole la “prova del voto”

carlo bertini e ugo magri
roma

Alla fine è arrivato il segnale che Renzi attendeva dopo dieci giorni di ambasciate segrete: un via libera forte e chiaro di Berlusconi al voto in ottobre, sia pure subordinato all’adozione di un sistema elettorale “alla tedesca”. Cioè rigorosamente proporzionale e con uno sbarramento al 5 per cento che funzionerebbe da “decespugliatore”. L’ex Cavaliere l’ha dichiarato al «Messaggero», facendo ben sperare Matteo («Se Silvio non bluffa, ci agganciamo al treno dell’Europa») e cogliendo di sorpresa un’ala del suo stesso partito, quella che già pregustava accordi con la Lega. Spiazzatissimo ovviamente è Salvini, il quale credeva di avere stretto un patto d’acciaio con il Pd a sostegno del «Verdinellum». Ma così va la politica nella patria di Machiavelli, le alleanze durano un giro di valzer. Non a caso, il vero dubbio renziano è fino a che punto fidarsi del Cav: se terrà ferma la posizione oppure confermerà la «legge del pendolo», per cui Silvio oggi è qua e domani è là.

 «Vedere cammello»

Manco a dirlo, il diretto interessato la vede in maniera speculare. A sentire Berlusconi, l’onere di dimostrarsi affidabile cade proprio su Renzi, che già una volta lo beffò (almeno nella sua ricostruzione) promettendogli di condividere la scelta del nuovo Presidente in cambio del «sì» all’«Italicum», salvo incassare e basta. Ragion per cui, sostiene l’ex premier nei suoi privatissimi colloqui, prima di «dare moneta» stavolta «esigo di vedere cammello»: vale a dire un testo di riforma elettorale come piace a Forza Italia. L’attesa si annuncia breve. Giovedì prossimo Sisto, che rappresenta i berlusconiani in Commissione Affari costituzionali della Camera, presenterà una serie di emendamenti proporzionalistici al testo base che proporzionale al momento non è. Se i renziani li voteranno, ci sarà la prova che nessuno sta barando.

 

La quadratura del cerchio

Qualcuno fa paragoni con il Palio di Siena, dove la corsa incomincia nell’istante in cui pure l’ultimo cavallo si allinea alla partenza: Berlusconi è finalmente piazzato, adesso toccherebbe a Grillo. Se pure lui ci stesse, sarebbe la quadratura del cerchio. I Cinquestelle per ora osservano e si domandano, scettici: sul serio il Pd sarebbe disposto a sposare un sistema di voto come quello che dal 2005, in Germania, ha già prodotto due «grandi coalizioni»? La risposta degli esperti renziani è sì, nessun problema: grazie alla soglia di sbarramento, che fa pulizia etnica di tutti i partitini e ne ridistribuisce i resti, di fatto verrebbero favorite le forze maggiori. Dunque si tratterebbe di un sistema proporzionale, ma con un «premio» nascosto tra le sue pieghe in grado di favorire la governabilità. Altro ragionamento che si ascolta a Largo del Nazareno: la «grande coalizione» sta bene ai tedeschi e adesso pure ai francesi, che male ci sarebbe se pure noi vi fossimo costretti? L’importante, va confidando in queste ore Renzi, «è andare alle urne col resto d’Europa e non restare un altro anno nell’incertezza, in preda ai mercati».

 

Il ruolo del Colle

Poi, si capisce, l’ultima parola sulle urne spetta sempre al Capo dello Stato («non trascurabile questione», ironizza il centrista Pino Pisicchio). Ma intanto un primo passo è stato fatto proprio nella direzione indicata da Mattarella, che chiede un consenso il più ampio possibile sulle nuove regole elettorali. «C’è già un fronte molto largo, anzi finora non si era mai registrata una convergenza così», si faceva notare ieri sera ai piani altissimi del Pd, mettendo in fila tutte le aperture di credito della giornata: oltre a Forza Italia, per bocca del suo leader, anche da Mdp, da Sinistra Italiana, dal Gruppo misto. Lo stesso Salvini ha evitato di impugnare il bazooka, forse perché da parte berlusconiana sarebbe stato facile ribattergli che il primo a fare business con Renzi era stato proprio lui (già erano pronte le dichiarazioni di replica, casomai avesse osato).

 

Alle armi, alle armi

Vale quel che vale, ma una vecchia volpe come Massimo D’Alema è convinto che sotto sotto stavolta ci sia davvero qualcosa; non a caso ieri mattina metteva fretta al suo mondo, «bisogna riunirsi con chi c’è e fare le liste» in quanto la resa dei conti è più vicina.

LA STAMPA

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