Il messaggio di morte del Califfo: vi colpiremo sempre

giordano stabile
 

L’Isis compie in Inghilterra il suo più grave attentato, dopo quelli portati in Francia, e colpisce tutti i simboli dell’Occidente, del suo stile di vita, delle sue libertà. Una grande festa di giovani, cosmopoliti, in un tempio della musica, davanti a una grande star del pop mondiale.

 L’obiettivo è distruggere quell’amore per la vita che l’ideologia salafita jihadista combatte con «l’amore per la morte». L’obiettivo, dal quel punto di vista, è perfetto. Il messaggio chiarissimo. Potete anche cancellare dalla carta geografica lo Stato islamico, riconquistare in territori che per tre anni in Iraq e Siria sono stati governati secondo le leggi dell’islam (medievale) ma i soldati del Califfato continueranno a colpire perché la nostra «guerra santa» non finirà mai.

Dalla Wilaya di Ninive, la provincia del Califfato dove si trova Mosul, è arrivato cinque giorni fa l’ultimo video di propaganda dell’Isis. La capitale irachena dell’Isis è ridotta a una paio di quartieri assediati dalle forze di sicurezza di Baghdad, dove resistono un migliaio di jihadisti irriducibili. Molti stranieri, asiatici, caucasici, ma c’è anche un pugno di europei.

 

Il video dell’Isis li ha messi in mostra. Con i loro fucili di precisione, i lanciarazzi fabbricati in casa, nelle officine islamiste, i missili anti-aerei, i mostruosi veicoli kamikaze blindati che hanno ucciso migliaia di soldati iracheni. I foreign fighters, americani, belgi, francesi, e anche uno britannico, si rivolgono ai «fratelli», ai «lupi solitari» in Occidente, li invitano a colpire ancora.

 

Mosul, dopo sette mesi di assedio, sta per cadere, Raqqa è circondata dai guerriglieri curdi, Donald Trump, dal cuore del Medio Oriente, ha ordinato di accelerare nell’offensiva. Ma i combattenti del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi si preparano ad allungare l’agonia del Califfato per poi passare alla fase due, la «ritirata nel deserto», nelle aree remote fra Siria, Iraq, Giordania, da dove continuare a destabilizzare i Paesi più fragili della regione e organizzare ancora attacchi in Occidente.

 

La «grande alleanza» dei Paesi sunniti «contro l’estremismo», è nata in un fiume di retorica anti-iraniana e anti-sciita. Gli interessi strategici e sicurezza di Stati Uniti e dell’Europa, e quelli dei loro alleati in Medio Oriente, non sono in questo momento perfettamente allineati. Pur molto calibrato, il messaggio di Trump da Riad ha insistito poco sulla necessità di sradicare il salafismo jihadista, la forma estremista dell’islam sunnita che da tre anni insanguina sistematicamente tutti i Paesi europei.

 

«Estremismo» è una parola che si adatta a tutte le esigenze. Per la Turchia si traduce in lotta ai curdi, per i Paesi del Golfo in lotta alle milizie sciite, per altri Paesi, come l’Egitto – dove il salafismo jihadista è nato con l’ideologo Hassan al-Banna – in repressione di qualsiasi forma di opposizione. “Estremismo” andrebbe definito meglio. E con una scala di priorità. I volti insanguinati di Manchester ci ricordano in maniera scioccante che oggi la priorità si chiama Isis e tutte le organizzazioni jihadiste sorelle di questo mostro nato in Mesopotamia.

LA STAMPA

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