I poverelli d’Assisi

Mattia Feltri

Siccome in natura e quindi anche in politica nulla si crea e nulla si distrugge, non c’è niente di strano né di nuovo nell’ispirazione che Beppe Grillo conta di trarre da San Francesco d’Assisi. E gli sembrerà straordinariamente rivoluzionario, come tutto ciò che gli passa per la testa, senza verificare che non sia già passato per la testa di altri. E che teste. Silvio Berlusconi diceva che «il ruolo dell’Italia si colloca nell’eredità religiosa di San Francesco»; Gianfranco Fini trovava molto francescana la guerra all’Iraq perché «San Francesco non condannò l’uso delle armi per legittima difesa»; Sandro Bondi si sentiva affratellato a Fausto Bertinotti «nel nome di San Francesco»; Piero Fassino affrontava il dovere quotidiano «col conforto del ricordo di San Francesco»;

Pierferdinando Casini contava di rifarsi alla fede di San Francesco «nella ricerca del bene comune»; Massimo D’Alema lo citò ad Assisi come impegno personale (un po’ disatteso), «non dobbiamo crederci il centro del mondo»; Umberto Bossi scrisse sulla Padania che la vita di San Francesco ormai guidava più la Lega che il Vaticano; Mario Monti riteneva San Francesco modernissimo, «e deve diventare l’esempio del mondo di oggi»; Giorgio Napolitano intendeva «riaffermare i valori di San Francesco nel mondo». In fondo per un politico indicare San Francesco per modello è come per un giornalista indicare Indro Montanelli e per un magistrato Giovanni Falcone: un bel modo di cavarsela quando non si sa più a che santo votarsi.

LA STAMPA

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