Quell’odio verso la vita

Quel che più colpisce, nel guardare le fotografie della strage degli innocenti a Manchester, è il contrasto tra le immagini infantili — i palloncini, le chitarre giocattolo, le orecchie da topolino — e la macabra crudeltà del terrorismo islamista. Che attacca senza strategia e anche senza tattica, animato dall’odio per la vita, con il solo fine di uccidere più bambini che può. E’ un contrasto, questo tra l’innocenza e la crudeltà, che in altri casi è stato additato come la prova della debolezza di un Occidente imbelle di fronte alla spietatezza dei suoi nemici. Invece l’innocenza dei bambini, degli adolescenti, delle mamme di Manchester va rivendicata. Non è un segno di impotenza ma di forza, di amore per la vita non meno irriducibile della ferocia con cui i nostri nemici ci combattono. E l’innocenza la dobbiamo difendere, in tutti i modi in cui può essere difesa: dalla paura, dal ripiegamento su noi stessi; ma in primo luogo dall’attacco degli islamisti. Che colpiscono sempre dove meno ce la aspettiamo.

La guardia era alta soprattutto in Francia, dove il processo democratico che si concluderà con le legislative (11 e 18 giugno) finora è proseguito senza condizionamenti, nonostante l’attentato sugli Champs-Elysées. Anche nel Regno Unito si vota, l’8 giugno. Ma sono elezioni scontate, la vittoria dei conservatori non è in discussione, nessuna mossa del terrore potrà cambiarne il verdetto (come fece in Spagna nel 2004 la strage di Madrid).

Stavolta il bersaglio degli assassini non era il Parlamento di Westminster, a differenza dello scorso 22 marzo. Erano i fan di una cantante che tanti tra noi adulti non avevano mai sentito nominare, ma è molto amata dai teenager. E l’obiettivo era accreditare uno dei paradigmi del terrore: il parallelismo della sofferenza tra i morti di Manchester e quelli in Siria, in Iraq, in Libia, in Yemen. Uno schema cui una parte dell’opinione pubblica europea, anche non islamica, è sensibile; ma che invece va respinto nel modo più assoluto. Le guerre civili in Medio Oriente e in Africa, accese dalla rivalità religiosa e dalla rivolta contro i vecchi autocrati, continuano anche perché le potenze regionali e quelle mondiali hanno l’ambizione di giocare un ruolo. Ma quale responsabilità possono portare i ragazzi che vanno a un concerto, i genitori che attendono all’ingresso, i famigliari che aspettano da casa telefonate che non verranno?

Alzare muri è impossibile e in ogni caso inutile. Il Regno Unito non ha mai aderito agli accordi di Schengen, non ha mai sospeso i controlli alle frontiere, un anno fa ha votato per uscire dall’Europa. Ma non per questo è al riparo. Manchester poi è un centro di reclutamento per gli estremisti islamici (e chiudere due anni fa il consolato italiano, in un’area metropolitana dove vivono 60 mila nostri compatrioti, non è stata una grande idea). Questo però non può essere un alibi per rinunciare al governo dell’immigrazione, al presidio delle frontiere meridionali d’Europa, al controllo della propaganda jihadista su Internet e nelle periferie delle nostre città. Ovviamente la sicurezza è una condizione perduta per sempre. I motivi di allarme possono essere infiniti. Stasera proprio il Manchester United si gioca l’Europa League a Stoccolma. Tra nove giorni a Cardiff c’è la finale di Champions. Il primo luglio a Modena Vasco Rossi terrà il più grande concerto della storia italiana. Dovremo vigilare; però dovremo anche vivere. Attrezzarci per il tempo che ci è dato in sorte, trovare un equilibrio tra le opposte retoriche pacifista e bellicista, considerare l’innocenza un valore, la pavidità e l’indifferenza una colpa. Lo dobbiamo ai bambini di Manchester, ai nostri figli, e a noi stessi.

CORRIERE.IT

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