Al G7 il patto antiterrorismo. “Combatteremo la jihad senza sosta e con ogni mezzo”
Il dramma di Manchester proietta il tema della guerra alla jihad in testa alle priorità dei Sette, proprio come capitò al summit Gleanegles l’8 luglio 2005, quando i Signori del Mondo si strinsero nel condannare gli attentati che avevano sconvolto Londra poche ore prima. La presidenza italiana del G7 ha preparato una dichiarazione sulla «Sicurezza dei cittadini», che vuole vedere approvata sabato a Taormina, senza esitazioni. Sono 15 punti solenni in cui i Grandi ribadiscono la condanna della barbarie dell’autoproclamato Stato Islamico. Non solo. Uniti, sono pronti ad affermare l’impegno di «portare la lotta al terrorismo a un livello più alto», scatenando una caccia «senza sosta a tutti i colpevoli e chi li aiuta».
L’attacco al concerto di Ariana Grande è l’evento in più che non consente indecisioni. Hanno colpito i giovani, il nostro futuro. La bozza del testo scritto dagli sherpa di Gentiloni si apre con le condoglianze alle famiglie di Manchester e con «la più forte condanna possibile del terrorismo in tutte le sue forme ed espressioni». La violenza estremista, si nota, ha colpito «i nostri Paesi» e «noi restiamo uniti nella missione di far sì che i nostri cittadini siano al sicuro, e che i loro valori e il loro stile di vita sia tutelato». Il capitolo si unisce alla voglia di azioni globali per mettere sotto controllo il flusso dei migranti. Non a caso, nella visita romana, Trump ha parlato molto di Libia, il che è come parlare di migranti. Tema su cui, sia chiaro, i diplomatici a stelle e strisce risultano aver frenato parecchio.
È una battaglia di spiriti, anzitutto. «Il sistema condiviso di leggi e valori, il rispetto dei diritti umani e della diversità culturale, la promozione delle libertà fondamentali sono la prima e migliore protezione contro questa minaccia comune». Soprattutto, la dichiarazione «italiana» punta sul «ruolo della cultura come strumento per battere il terrorismo». Difende l’identità e la memoria dell’uomo, «incoraggia dialogo e scambi fra le nazioni, risultando alla fine un mezzo straordinario per prevenire la radicalizzazione e l’estremismo violento, particolarmente fra i giovani». Principi alti e necessari, il consenso è probabile.
Non c’è intesa invece sul clima. Dall’incontro con Trump, la squadra di Gentiloni ha percepito un contesto in cui può solo dire di essere d’accordo sul fatto di trovarsi in disaccordo. «Riteniamo che la Casa Bianca stia riconsiderando la partecipazione agli accordi di Parigi – rivela una fonte europea -, e ci aspettiamo che a Taormina ci spieghi cosa intende fare». Possibile una dichiarazione della presidenza più che una conclusione vera e propria dell’intero gruppo. Il protocollo del G7 lo consente. È un modo per minimizzare gli attriti e avanzare.
In cima alla lista dei possibili (e probabili) inciampi c’è il dossier commerciale. Dicono gli addetti ai lavori che gli sherpa di The Donald hanno avuto la doppia consegna di evitare di prendere impegni definiti e di stare alla larga dalla gestione multilaterale dei problemi, che invece l’Ue considera importante. Nella mediazione fra Gentiloni e Trump risulta che si siano trovati sulla necessità di far girare il confronto sulla «reciprocità». Vuol dire che nessuno può fare agli altri quello che non vorrebbe fosse fatto a sé. Potrebbe essere una via, sebbene a Bruxelles si noti come anche la dimensione bilaterale (Ttip) è arenata. Difficile che ci sia un progresso. Delle questioni specifiche si finirà per parlare in autunno al G7 Industria di Torino.
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