Gli inattesi impegni dell’America di Trump
Sarà il ritmo incalzante di un viaggio che lo obbliga a confrontarsi con molti personaggi e con problemi sempre diversi senza spazio per divagazioni (niente «tweet»), sarà il desiderio di recuperare sul palcoscenico internazionale la credibilità e la statura che non riesce a conquistare a Washington, sarà il gran lavoro di preparazione fatto dai consiglieri internazionali, l’ex generale McMaster e Dina Powell, insieme al genero, Jared Kushner: fatto sta che la prima missione internazionale di Donald Trump si sta rivelando un positivo fattore di stabilizzazione dopo i mesi caotici nei quali lo stesso leader conservatore aveva dato la sensazione (da candidato e poi da presidente) di voler demolire gli attuali equilibri dei quali l’America, per quanto indebolita, è ancora il baricentro. Non che basti un viaggio transoceanico per indurre Trump a capovolgere la sua piattaforma politica populista. Ma i suoi aspetti più inquietanti — l’attacco al mondo musulmano con toni da conflitto tra civiltà, la dura retorica contro la tutela dell’ambiente e contro gli immigrati sfociata nello scontro con papa Francesco e la presa di distanze dagli alleati europei tra critiche feroci alla Ue e liquidazione della Nato come patto militare obsoleto — si stanno stemperando con una rapidità sorprendente.
Certo, c’è poco da festeggiare quando si sono solo evitati disastri: il dialogo col mondo arabo sunnita è ripreso, ma un piano per riavviare il processo pace in Medio oriente ancora non c’è, mentre il capovolgimento della politica di Barack Obama sull’Iran suscita molte preoccupazioni. E, nonostante le strette di mano e i sorrisi un po’ tirati, non basta un incontro col Pontefice a trasformare «The Donald» in un protettore dei rifugiati e in un combattente della lotta contro i mutamenti climatici. Ma in questi giorni frenetici di confronto di Trump con le tre grandi religioni monoteiste, i leader dei Paesi sunniti, gli israeliani e palestinesi, i Paesi della Nato e della Ue, per finire, poi, il G-7, si sta delineando uno scenario che è forse il migliore tra quelli che potevano essere realisticamente auspicati.
Dal punto di vista dell’Europa, e soprattutto dell’Italia, i risultati più importanti sono il rilancio del ruolo della Nato con un’attenzione più focalizzata sul terrorismo e sul Mediterraneo e un clima più aperto alla cooperazione economica tra le due sponde dell’Atlantico. Mentre sulle questioni dell’ambiente è già notevole che, nonostante i proclami del passato, il presidente conservatore non abbia ancora denunciato l’accordo di Parigi siglato l’anno scorso da Obama.
La sensibilità ecologica del Donald Trump grande «fan» del carbone è certamente molto bassa. Come, del resto, quella del suo partito. Ma in casa è incalzato dalla figlia «verde», Ivanka, al G-7 troverà sei partner decisi a frenare il «global warming», mentre ieri in Vaticano Papa Francesco gli ha regalato una copia con dedica della sua enciclica ambientale. E gli ha chiesto di non gettare al vento il lavoro fatto per arrivare al patto mondiale di Parigi. Il presidente non ha preso impegni ma i toni dell’incontro in Vaticano, la scelta simbolica di regalare al Papa testi di Martin Luther King e quel «terrò ben presente quello che mi ha detto» pronunciato dal leader Usa mentre salutava il Pontefice, giustificano qualche speranza. Certo, Trump cambia rotta con una certa facilità: ha demolito «Obamacare» dopo aver detto pubblicamente a Obama di apprezzare vari aspetti della sua riforma sanitaria. Ma andando in Vaticano da un Papa che gli ha concesso pochi minuti (un incontro che poteva anche andare molto male), Trump ha mostrato di volere fortemente una ricucitura. Per la quale dovrà concedere qualcosa.
Quanto ai rapporti economici, dopo le minacce di introdurre nuovi dazi, sembra che si stia tornando all’idea di un rafforzamento del mercato transatlantico: niente trattati (il Ttip è ormai defunto) ma il riconoscimento che per la prosperità del mondo si deve continuare a puntare sui Paesi che fin qui sono stati i principali motori di crescita economica, culturale e di civiltà. Infine la difesa: l’attentato di Manchester spinge Trump a chiedere con ancor più determinazione l’allargamento della coalizione anti Isis all’intera Nato. E il fatto che quel massacro sia stato organizzato in Libia dà più forza alle richieste che il premier Gentiloni avanza fin dalla sua visita alla Casa Bianca di un mese fa: un maggior coinvolgimento degli Stati Uniti e dell’Alleanza nelle regioni del Nord Africa che, con le offensive della coalizione a Raqqa e Mosul, rischiano di diventare la nuova base strategica dello Stato Islamico.
CORRIERE.IT