Ci uccidono i figli
Più di trenta bambini e ragazzi inglesi uccisi da un terrorista islamico i cui genitori libici erano stati accolti come fratelli.
A volte sembra di essere dei preti, chiamati a celebrare con una certa frequenza il funerale con la solita omelia, ritoccata di volta in volta in base alle circostanze. Tanto che alla fine fai fatica a trovare parole nuove e tutto appare come un già visto e sentito. Solo che qui non siamo in chiesa e rivendichiamo almeno il diritto di bestemmiare contro Allah, un dio crudele e assassino. È inutile disquisire su che nesso ci sia tra immigrazione e terrorismo. Tutti i terroristi – è un fatto – sono immigrati di prima o seconda generazione e tenere separati i piani è esattamente il vicolo cieco nel quale ci hanno portato o, meglio, ci siamo infilati in nome di una distorta interpretazione – e purtroppo applicazione – dei sani principi occidentali di accoglienza e solidarietà.
È vero che non tutti i tedeschi sono stati complici delle camere a gas, ma ciò non ha impedito l’avverarsi dell’Olocausto. È vero che non tutti i sessantottini sono stati terroristi, ma la teoria dei «compagni che sbagliano» è quella che ha permesso il radicarsi della violenza con la sua lunga scia di morti. La questione non è se i muri sono belli o brutti, etici o scandalosi. Vivreste in una casa senza porte? Ecco, un Paese non può rinunciare alle sue frontiere e al loro meticoloso e severo controllo, altrimenti diventa terra di conquista e scorrerie.
Diventare cittadino italiano – o europeo – non può essere un fatto tecnico o burocratico. E neppure una necessità individuale. Lo status deriva dall’accettazione incondizionata e sincera di diritti e doveri non solo materiali. E non mi sembra che questo sia ciò che sta avvenendo.
Chi sostiene l’inverso, non può chiamarsi fuori dalle conseguenze che ciò comporterà. Scendere in piazza con la fascia tricolore al petto a difesa dell’immigrazione clandestina, come ha fatto solo pochi giorni fa il sindaco di Milano Beppe Sala, equivale a dare copertura morale e politica a trafficanti e mafie, cioè al brodo di coltura dei terroristi. Eugenio Scalfari ci ha messo quarant’anni ad ammettere di aver sbagliato a legittimare, con la sua penna, gli assassini del commissario Calabresi. Quando lo faranno Sala e i suoi tanti ispiratori ed emuli, purtroppo per noi sarà troppo tardi.
IL GIORNALE