Franceschini: “Così fermano il cambiamento. Faremo appello, ma il danno è fatto”

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roma

Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali e artefice di quell’Art Bonus che nel 2014 ha consentito di affidare i nostri musei più importanti ai migliori specialisti (italiani e europei) è «addolorato» dalla sentenza del Tar del Lazio. «Il sistema museale italiano era il più arretrato, pur avendo le collezioni più importanti del mondo. Tanto per dirne una: nell’85 per cento degli oltre 400 musei statali non c’era nemmeno il bookshop. I musei erano semplicemente uffici delle sovrintendenze, retti da un funzionario: noi gli abbiamo dato autonomia, abbiamo scelto i migliori per guidarli, e i risultati stavano arrivando: siamo passati dai 38 milioni di visitatori del 2013 ai 45,5 del 2016. E quest’anno stanno ancora crescendo. Sono risultati sotto gli occhi di tutti, ma così si dà l’impressione che questo cambiamento venga improvvisamente fermato. Il danno è oggettivo».

 Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, ha definito la sentenza “un autogol” dell’Italia.

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È così?

«Ci siamo appellati al Consiglio di Stato. Spero in un cambiamento della decisione».

Altrimenti?

«Ci troveremmo con cinque direttori fuori e gli altri venticinque, nominati con gli stessi criteri dalla stessa commissione, che restano in carica. Già questo fa capire che c’è qualcosa di strano».

 

La sentenza è già operativa?

«Si, la direzione generale dei musei ha comunicato ai direttori che la sentenza ha annullato la loro nomina».

 

Cinque tra i principali musei e siti italiani sono senza direttori?

«È così. E alcuni di loro – Eva degli Innocenti, direttrice a Taranto, Martina Bagnoli o Peter Assman – hanno lasciato carriere in istituzioni culturali in giro per il mondo per venire in Italia. Io sono avvocato e uomo politico, so bene che le sentenze, anche se sgradite, si rispettano. Ma so anche che la selezione internazionale per i direttori del musei italiani all’epoca fece il giro del mondo, il bando fu pubblicato dall’Economist, in questi tre anni non c’è stato Paese che non abbia tributato grandi riconoscimenti all’Italia per questa rivoluzione. La notizia negativa, la battuta d’arresto, adesso avrà la stessa eco enorme e sembrerà che in Italia qualsiasi innovazione è impossibile. È una cosa dolorosa, al di là della decisione d’appello».

 

 Il danno è fatto quindi?

«Spero che venga recuperato, ma sul piano dell’immagine sì».

 

I vostri critici dicono che non ve la potete prendere con i giudici, la sentenza è frutto della vostra fretta, avreste dovuto prima modificare la legge del 2011 che non permette ai non italiani di partecipare ai concorsi. Come risponde?

«Chi lo dice parla senza conoscere i fatti. La nomina dei direttori è avvenuta sulla base di una norma di legge ad hoc, approvata nel decreto del 2014, l’art bonus, che esplicitamente individuava una procedura diversa da quella usuale per la nomina dei dirigenti della pubblica amministrazione. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di approvare un’altra legge! E ci sono sentenze della Corte di giustizia europea che stabiliscono con chiarezza che non puoi discriminare per nazionalità all’interno dell’Ue».

 

Il Tar parla anche di «criteri magmatici» utilizzati dalla commissione per assegnare i punteggi.

«La commissione era composta dal presidente della Biennale di Venezia, da Claudia Ferrazzi ora consigliere culturale di Macron all’Eliseo, dal direttore della National Gallery di Londra, dal Rettore del Wissenschaftskolleg di Berlino, e da Lorenzo Casini, esperto di legislazione per il patrimonio culturale. Se non è garanzia di assoluta trasparenza una commissione di questa levatura così si deve fare?

 

Però nella sentenza dicono che tenevate le porte chiuse durante i colloqui. C’era qualcosa da nascondere?

«Tutti quei colloqui sono stati video registrati e sono visionabili, come qualcuno peraltro ha già fatto, grazie alla legge 241 di accesso agli atti».

 

Alcuni ricorsi sono stati accolti e altri no, come lo spiega?

«Credo che derivi dal fatto che chi ha presentato ricorso contro la nomina di Eike Schmidt, non abbia sollevato il tema della nazionalità. Resta comunque che Schmidt, tedesco e Assman, austriaco, entrambi stranieri hanno avuto un trattamento dissimile. Citazioni identiche, destini diversi».

 

Renzi si è rammaricato di non aver riformato, oltre i musei, anche i Tar…

«Non c’è dubbio che, nella più ampia riforma del sistema giudiziario, si poteva affrontare anche questo tema, ma mettetevi nei miei panni…Non mi pare il caso di parlare della riforma dei Tar in questo momento».

LA STAMPA

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