I tre tavoli di Renzi e Berlusconi
di EZIO MAURO
Ci sono tre tavoli apparecchiati in mezzo al campo malandato della politica italiana. Il primo riguarda la legge elettorale, il secondo il governissimo, il terzo la Rai. I commensali sono sempre due, Renzi e Berlusconi, necessari l’uno all’altro: non per i numeri e per la forza, che non hanno più, ma al contrario per le due diverse ma reciproche debolezze che provano a puntellarsi a vicenda fingendo di reggere il sistema e addirittura di riformarlo, mentre ciò che li muove è un puro istinto difensivo.
Naturalmente anche quello della difesa è un istinto politico, dunque legittimo. Ma qualcosa andrebbe spiegato mentre accade, soprattutto a sinistra. Qual è il profilo culturale, strategico, della stagione convulsa e precipitosa che si sta aprendo? E in nome di quale mandato Renzi consegna il Pd appena riconquistato all’intesa con la destra? Qui nasce la terza domanda, che è la più importante e non ha mai avuto una vera risposta da quattro anni: che idea di se stesso ha il Pd, che lettura fa del Paese, qual è la sua interpretazione oggi del concetto di sinistra, che è la sua ragione sociale scritta nell’atto di nascita e nel patto coi cittadini?
È evidente che proprio l’indeterminatezza identitaria domina la fase, rendendo possibile ogni evoluzione strategica e ogni performance tattica, senza alcun vincolo culturale. Ad ogni stormir di Macron, nasce qualche nuova tentazione subitanea, qualche mimetica gregaria, qualche imitazione subalterna, come se i partiti non avessero un’anima e un corpo e bastasse cambiar loro l’abito a ogni cambio di stagione. Soprattutto, come se l’anima non l’avessero gli elettori. L’indeterminatezza si raddoppia, oggi, perché il commensale Berlusconi non ha nemmeno ancora deciso se si subordinerà all’opa radicale di un Salvini mezzo lepenista e mezzo padano, o se si risveglierà improvvisamente europeista e temporaneamente moderato. Dunque non si sa con chi si tratta, o lo si sa fin troppo bene.
È altrettanto evidente che per mettere fine in extremis allo scandalo di un Paese senza legge elettorale bisogna cercare un’intesa larga e dunque un compromesso parlamentare. Ma lo si deve fare alla luce del sole, con proposte chiare e pubbliche e un’idea del sistema politico che garantisca governabilità e rappresentanza, non piccoli interessi di parte e di autogaranzia. Non si sconfigge il populismo grillino con intese elettorali difensive e innaturali, che trasmettono al contrario l’immagine di un blocco di autotutela, chiuso in sé al punto da lasciar credere che una diversa lettura della crisi sia possibile solo fuori dal sistema.
La vera battaglia con il populismo è culturale, dunque ha bisogno di identità forti, riconoscibili, dichiarate — in difesa del pensiero liberale, del principio di Occidente, dell’idea di Europa — non di minimi comun denominatori che possono produrre soltanto governi-badanti di un Paese che non sa più crescere.
Un sistema politico arroccato, devitalizzato in un’opportunistica rincorsa al centro, confuso dentro l’indistinto democratico, è un sistema spaventato. Che non per caso ha bisogno di una Rai ancora meno autonoma e indipendente, ma spartita e fedele: come se la partita italiana del futuro si giocasse ancora nel chiuso di un tinello italiano degli anni Settanta, mentre il mondo in subbuglio sta sfondando la porta.
REP.IT