Se il fantasma di Putin tormenta il G7
C’è un fantasma a Taormina. Ma per attirare l’attenzione dei sette grandi non ha bisogno né di lenzuola, né di catene.
A rammentare a tutti la sua subliminale presenza, basta il programma dei lavori. L’incubo Libia, la tragedia siriana, la risposta al terrorismo dell’Isis dopo Manchester sono equazioni irrisolvibili senza di lui. E così oggi Vladimir Putin può vantarsi di essere l’assente più desiderato di Taormina. Senza di lui i «sette grandi» non hanno speranza di tirare fuori un ragno dal buco. Non a caso l’esordiente, ma previdente, Emmanuel Macron, gli ha già dato appuntamento a Versailles per lunedì prossimo. Le previste discussioni su Ucraina, Siria e terrorismo fanno pensare ai tempi supplementari di un G7 palesemente incompleto. Tempi supplementari in cui Macron proverà a buttare alle ortiche la pregiudiziale ostilità anti-russa che inquinava i rapporti tra il suo predecessore e il presidente russo. Il primo a celebrare il grande assente è stato il nostro Paolo Gentiloni protagonista, il 17 maggio, di una premurosa visita a Mosca, durante la quale s’è impegnato a ribadire l’importanza della Russia. Del resto come negarla. Qualsiasi esperto di terrorismo sa che i russi, grazie ai loro infiltrati e alla ventennale lotta allo jihadismo caucasico, hanno occhi e orecchie in quelle basi siriane dove si preparano gli attacchi all’Occidente.
Per non parlare dei rapporti privilegiati con paesi come l’Iran con cui Stati Uniti ed Europa difficilmente scambiano informazioni. E qualunque diplomatico sa che solo Putin può oggi dialogare, da una posizione di forza, sia con l’alleato Assad, sia con l’imprevedibile presidente turco Erdogan. Una posizione che gli ha consentito d’imporre alla Turchia, e far accettare alla Siria, la presenza dei gruppi ribelli ai negoziati di Astana. Un successo mai raggiunto da alcun mediatore. E chi bazzica la Libia sa bene che il primo e unico incontro tra due nemici giurati come il generale Khalifa Haftar e il premier del governo d’intesa nazionale di Tripoli Fayez al Sarraj, è stato il risultato delle pressioni congiunte di Russia ed Egitto. L’importanza delle felpate mosse putiniane nell’insidioso deserto libico difficilmente possono sfuggire a Gentiloni e ai suoi sei ospiti, soprattutto dopo l’attentato di Manchester che rimanda dritto alla costola libica di Al Qaida. Insomma, ancora una volta mentre noi ci rallegriamo di tendere la mano a chi vuole distruggerci, Putin guida la pattuglia dei nostri potenziali alleati. Sarà pure un fantasma, ma rischia di rivelarsi assai più indispensabile dei sette grandi in carne ed ossa.
IL GIORNALE