La variante a 5 stelle sulle elezioni
Per dirlo già in gestazione, forse è ancora presto. Ma di sicuro, dopo l’accordo a tre sulla nuova legge elettorale, il governo prossimo venturo 5 stelle-Lega è diventato possibile, se non addirittura probabile. A confermarlo, non sono solo i sondaggi come quello letto in tv da Mentana, che assegna alla coalizione «populista-sovranista», sulla carta, con il nuovo sistema, più seggi di quella considerata scontata, di larghe intese, tra Renzi e Berlusconi. Piuttosto è la piena legittimazione ottenuta dal movimento di Grillo, con la decisione di far votare i propri militanti sulla rete e uscirne con l’appoggio plebiscitario al proporzionale italo-tedesco.
Diciamo la verità: se avessero ragionato come hanno fatto per gran parte della legislatura, i 5 stelle, rispetto al loro elettorato, avrebbero avuto tutte le convenienze a presentare il nuovo patto tra il segretario del Pd e il patron di Forza Italia come una truffa, l’ennesimo inciucio per togliere ai cittadini il diritto di scegliere da chi farsi governare, l’imbroglio fatto apposta per fregare M5s.
Invece, a sorpresa, hanno fatto una mossa politica classica quanto imprevedibile, seguiti subito a ruota dal potenziale alleato Salvini, riconfermato a furor di popolo leader dal suo partito e risoluto a spendersi nella nuova avventura con Grillo, e non in un rabberciato accordo di centrodestra con l’ex-Cavaliere.
Come sempre, quando una novità si presenta e si impone con il suo carico di incognite, c’è chi tende a minimizzare, sostenendo che tra Grillo e Salvini da tempo erano in corso annusate, ma troppe diversità impediranno alla fine una vera alleanza. Eppure, se al leader leghista si può ancora rimproverare qualche oscillazione di troppo, il percorso dell’ex-comico e del suo giovane co-leader Davide Casaleggio verso una sorta di istituzionalizzazione e completa legittimazione del movimento è andato avanti negli ultimi mesi – con la sola eccezione dello scivolone sui vaccini – quasi senza ripensamenti, passando per convegni economici e culturali aperti a intellettuali e studiosi «esterni», avviando una serie di contatti riservati che grazie al vicepresidente della Camera, e futuro candidato premier Luigi Di Maio, hanno fatto arrivare fino alle orecchie del Quirinale la promessa di maggiore serietà, disponibilità e affidabilità, in considerazione dei problemi che l’Italia deve affrontare e della consapevolezza che ognuno deve fare la sua parte.
Adesso che la svolta è arrivata, realizzandosi nel sì alla nuova legge elettorale chiesta dal presidente Mattarella come sforzo estremo a un Parlamento stremato, e nell’impegno a mettere a disposizione i propri voti per approvarla anche in Senato, dove i numeri non ci sarebbero senza la disponibilità del polo grillino, cosa possono concretamente aspettarsi i 5 stelle dal Capo dello Stato? In caso di vittoria, cioè di conferma, per M5s, di essere ridiventato il primo partito per voti come nel 2013, e soprattutto se la somma degli elettori stellati e leghisti – nonché di quelli di Fratelli d’Italia, dato che la Meloni troverà il modo di essere della partita, malgrado lo sbarramento del 5 per cento -, dovesse raggiungere la maggioranza (al momento i sondaggi attribuiscono all’alleanza 5 stelle-Lega 313 seggi alla Camera, solo tre in meno del necessario), Grillo e Casaleggio, nel corso delle consultazioni, chiederebbero l’incarico di formare il governo per un esponente del Movimento. E il Presidente della Repubblica difficilmente potrebbe negarglielo.
L’incognita delle elezioni d’autunno è esattamente questa. In mezzo ci sarà la «campagna sotto gli ombrelloni» di cui già molto si parla e si sorride in questi giorni. Nella quale Grillo, a parte il copyright sul salario di cittadinanza, condividerà con Salvini temi caldi caldi come immigrazione, anti-euro (magari con un po’ meno enfasi, viste le sorprese di Francia e Olanda) e la necessità di un ritorno all’intervento statale sull’economia e sul lavoro. Insieme faranno desistenza per favorirsi a vicenda nei collegi e nelle circoscrizioni più incerte. E si ritroveranno con D’Alema e Bersani (forse anche con Pisapia), nel denunciare l’inciucio «Renzusconi». Così, anche nelle urne delle elezioni politiche, sta rinascendo il fronte del 60 per cento, animato dall’odio per Renzi, che ha trionfato al referendum del 4 dicembre. A tutto vantaggio di un’Italia a 5 stelle.
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