La nuova scheda elettorale
Il “tedesco” avanza implacabile. La linea di resistenza opposta alla Camera dai “cespugli” (i piccoli partiti, ndr), che tentavano di rinviare l’esame in Aula della legge elettorale, è stata travolta dai panzer Pd, Forza Italia e Cinquestelle.
Le votazioni inizieranno il 5 giugno sulla base del testo che ha preso forma ieri sera, dopo un «maxi-emendamento» presentato dal «dem» Fiano a nome della strana alleanza tra Renzi, Berlusconi e Grillo. Si tratta del sistema preso a modello dalla Germania, tutto proporzionale con uno sbarramento del 5 per cento. Ci farà votare in modo diverso da come eravamo abituati da un quarto di secolo.
Sceglieremo i partiti, privilegiando quelli che hanno speranze di superare la soglia. Ma con lo sguardo sui candidati che, secondo i dettami della Consulta, saranno indicati tutti sulla scheda. Non potremo sceglierli con le preferenze, però almeno ci sarà trasparenza. Nei piani dei maggiori partiti, la nuova legge verrà approvata entro la prima settimana di luglio. Non servirà nemmeno ridisegnare i collegi. E poi di corsa alle urne. L’ultima data di cui si parla è domenica 8 ottobre, tra 4 mesi.
DOVE FARE LA CROCE?
Ci verranno consegnati due «lenzuoli», uno per la Camera e l’altro per il Senato: oltre ai simboli dei partiti, indicheranno i nomi di tutti i candidati votabili, nessuno escluso. Per l’elettore sarà un vantaggio: non dovrà stare naso all’aria davanti ai tabelloni fuori dal seggio, e gli risulterà più semplice fare una scelta comparata tra le «offerte» dei vari partiti. Ne guadagnerà la chiarezza.
In mezzo troveremo i simboli delle forze politiche. Sulla sinistra, i candidati che concorrono in quel collegio uninominale, sulla destra i vari «listini circoscrizionali» composti in genere da 4 nomi (ma potranno essere in numero variabile da 2 a 6, a seconda delle Regioni). Il voto sarà espresso in blocco, un solo segno sarà sufficiente a «battezzare» contemporaneamente il partito, il candidato uninominale e quelli del «listino»: prendere o lasciare. Chi non gradirà la formazione della propria «squadra», avrà due alternative: cambiare bandiera o non votare del tutto. Va da sé che risulterà avvantaggiata la lista in grado di proporre i nomi più validi. In generale, questo sistema presuppone l’esistenza di un corpo elettorale evoluto, composto da gente che non si trascina stancamente a esprimere sempre lo stesso voto, ma fatto di cittadini dinamici disposti a migrare da un partito all’altro, come sul web quando si cerca l’offerta migliore.
CHI SARA’ ELETTO
Vista dal satellite, la geografia del prossimo Parlamento sarà rigorosamente proporzionale: ogni partito avrà i seggi che si merita in base alla percentuale dei suffragi. Dopodiché quei seggi saranno distribuiti Regione per Regione e giù giù tra le circoscrizioni, sempre in proporzione ai voti. È qui che scatterà una «graduatoria» per stabilire chi, tra i tanti candidati, diventerà “onorevole”.
Funzionerà così: primo a essere eletto sarà quel candidato che riuscirà nell’impresa di stravincere con oltre il 50 per cento nel proprio collegio. Di questi collegi in Italia ce ne saranno 303 alla Camera e 150 al Senato. Ogni circoscrizione ne conterrà un numero variabile, a seconda della grandezza. Se nessuno vincerà nel collegio in modo così stratosferico, scatterà un diverso meccanismo, che sembra fatto apposta per tutelare gli «alti papaveri»: verrà eletto il numero 1 del «listino circoscrizionale». Inutile dire che tutti i boss della politica sgomiteranno per occupare quella posizione. Poi, se il partito avrà conquistato altri seggi nella circoscrizione, scatteranno i vincitori del rispettivo collegio uninominale.
Una volta esauriti tutti i vincitori dei collegi, se resteranno poltrone da occupare sarà il turno degli altri nomi del «listino». Infine, i migliori perdenti dei collegi.
CHI RESTA FUORI CON LA SOGLIA AL 5%
Per i piccoli partiti questo sistema «tedesco» è una disgrazia. Nega il «passi» in Parlamento a chi non supera la soglia del 5 per cento sul totale dei voti espressi. All’incirca, per dare un’idea, verranno tagliate fuori le sigle che metteranno insieme meno di 1 milione 700 mila suffragi. Quei voti a perdere saranno ripartiti tra i vincitori, però non in maniera eguale: anche nella spartizione delle spoglie verrà seguito il criterio proporzionale. Dunque, la «fetta» maggiore spetterà a chi è già muscoloso, ingrossandolo ulteriormente. I politologi direbbero che lo sbarramento al 5 per cento (come in Germania) crea un «premio» nascosto, tanto maggiore quanto più elevato è il numero dei partiti rimasti al di sotto della soglia.
Con l’occhio del cittadino, converrà valutare se la propria sigla preferita avrà reali possibilità di superare il 5. Perché, se non dovesse farcela, il proprio prezioso voto andrebbe a rafforzare «pro quota» proprio quei partiti che si desidera combattere. Se il rischio sarà troppo grande, converrà forse puntare direttamente su chi offre più salde garanzie di successo, nella logica del cosiddetto «voto utile». Un congegno infernale destinato a estirpare non solo i «cespugli» ma pure le «start-up» della nuova politica, che hanno bisogno di crescere.
GLI ERRORI DA EVITARE
Si chiama sistema tedesco, ma non è un semplice “copia e incolla”. Ad esempio, in Germania si può esprimere un voto «disgiunto», vale a dire che viene permesso di votare il candidato “uninominale” di un partito e la lista proporzionale di un altro partito. Qui da noi non sarà consentito. E dunque, bisognerà fare attenzione a mettere sulla scheda una sola croce, pena annullamento. Sarà necessario resistere alla tentazione di scriverci su dell’altro. E non è l’unica differenza con il modello «Made in Germany». Là c’è la certezza che chiunque arrivi primo nei collegi uninominali poi venga eletto, perfino nel caso in cui le percentuali nazionali del proprio partito non lo giustificassero. Per loro è semplice, gli basta aggiungere (o togliere) dei seggi in Parlamento, a seconda dei risultati, tipo fisarmonica. Ma da noi non si può, la Costituzione prevede un numero fisso di seggi. E allora, in Italia come funzionerà? Semplice: vincere nel proprio collegio uninominale non darà la garanzia di farcela. Bisognerà anzitutto che il proprio partito superi il 5 per cento; e poi sarà necessario che il numero degli eletti nella circoscrizione non superi quello massimo cui si avrà diritto. Se quel numero fosse scavalcato, resterebbe a casa il candidato che ha vinto, sì, però con meno voti degli altri suoi compagni di partito. Una vittoria triste.
LA STAMPA