La relazione di Bankitalia: “Serve uno sforzo eccezionale. Così si rilancia la crescita in Italia”
Il governatore della Banca d’Italia non teme un anticipo delle elezioni. Avverte però che per rimettere in piedi il Paese dopo la più grave crisi vissuta in tempo di pace occorre uno «sforzo eccezionale». I partiti sono dunque invitati a confrontarsi su «programmi chiari, ambiziosi, saldamente fondati sulla realtà». È illusorio pensare che uscire dall’euro risolva qualcosa. Chi ne parla spesso non si rende conto dei disastri che comporterebbe.
Sulle banche, l’argomento più atteso, Visco ha messo in scena una sorpresa. Parlando a braccio per parecchi minuti, fuori dalla formalità e dal testo del discorso già distribuito, ha cercato di comunicare «alcune cose che da questa crisi abbiamo imparato». C’è un impegno: in futuro, la Banca d’Italia non esiterà a usare il potere conferitogli due anni fa di «rimuovere i manager».
Se c’è una autocritica, riguarda il caso della Banca popolare di Vicenza. «Quando si consolidano posizioni di dominio assoluto aumenta il rischio che si sfrutti la propria intoccabilità per abusi e favoritismi» è un accenno preciso alla gestione di Gianni Zonin, ora imputato per diversi reati. Qualora si ripetano casi simili, «si dovrà intervenire con tempestività e decisione».
L’insolita presenza ieri tra il pubblico di Mario Draghi, presidente della Bce, ha un evidente senso di appoggio alla Banca d’Italia di fronte alle critiche ricevute. Il mandato di Ignazio Visco scade il 30 ottobre; a quanto si capisce in caso di anticipo delle elezioni la scelta del successore, o l’eventuale rinnovo, ricadrebbero sul nuovo governo (casomai con una breve proroga).
Nell’analisi della Banca d’Italia, l’economia del nostro Paese si trova in «espansione, ancorché debole», ora anche nel Sud. Ma a questo ritmo per tornare al tenore di vita del 2007 occorrerà attendere «la prima metà del prossimo decennio»: almeno 15 anni perduti. Servono «tempo, impegno, sacrifici» e scelte politiche «con una veduta lunga».
Il passaggio elettorale può essere affrontato con relativa tranquillità, dice il governatore, «se i comportamenti saranno responsabili» perché le misure espansive della Bce proseguiranno finché la crescita economica si sarà rafforzata. Tuttavia l’alto livello del debito pubblico espone a un «calo di fiducia dei mercati» con «conseguenze serie» in caso si commettano errori.
Uscire dall’euro non alleggerirebbe il debito, anzi lo appesantirebbe. Non serve una nuova lira svalutata: l’export va bene, «è stato difeso il potere d’acquisto» dei cittadini. Per lo stesso motivo restando nell’euro non è utile puntare a nuovi risparmi sul costo del lavoro, piuttosto a uno sforzo comune per la produttività. La crisi dell’euro però è stata gestita male. Quando nel 2011 i Paesi deboli hanno dovuto compiere sforzi eccezionali per rimettere a posto i bilanci, misure restrittive erano già in corso di attuazione anche nei Paesi forti: l’effetto combinato ha prodotto una recessione gravissima. Ovvero «l’assenza di un bilancio comune impediva una azione sovrannazionale».
La Banca d’Italia giudica sbagliata l’analisi di marca tedesca secondo cui le tensioni nell’area euro venivano attribuite alle difficoltà dei Paesi deboli «e non anche a un rischio sistemico di disgregazione dell’unione monetaria». Così si arrivò solo «con fatica» e tardi alla grande svolta compiuta da Draghi nell’estate 2012.
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L’alto debito impedisce all’Italia consistenti cali delle tasse o grandiosi investimenti pubblici. Ha senso invece battersi perché il sostegno all’economia venga da un bilancio comune dell’area euro. Per molti motivi «in un mondo che appare sempre più instabile e politicamente imprevedibile», Visco conclude che «l’Europa deve restare un’ancora salda».
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