«Il proporzionale ritorno agli anni 80 Mi piaceva il Renzi dell’alternanza»

Walter Veltroni, si torna alla Prima Repubblica.
«È un momento molto importante nella storia del nostro Paese. Ne parlo con spirito di amicizia e collaborazione, non per criticare. Io, diversamente da altri, spero tutto il bene possibile per il Pd e la sua leadership. Una delle ragioni per cui la prima fase di Renzi mi aveva interessato è perché vedevo una sintonia su un tema di fondo: la costruzione di una democrazia dell’alternanza; i governi decisi dai cittadini; la sfida riformista».

Ora il Pd di Renzi si prepara a votare il proporzionale.
«Quando sono andato all’assemblea del Pd, cosa che non facevo da anni, ho detto: se si torna al proporzionale e ai governi fatti dai partiti, e magari si rifanno Ds e Margherita, non chiamatelo futuro; chiamatelo passato. Sono rimasto di questa idea. E sono molto preoccupato dal fatto che il mio Paese torni agli anni 80. È una svolta radicale, che rischia di accentuare drammaticamente l’impossibilità per l’Italia di conoscere il riformismo».

Si sente tradito da Renzi?
«Tradito no, non è un sentimento che coltivo. Sono stupito. L’ispirazione su cui il Pd è nato in questi anni è costruire un sistema politico civile e moderno. Qui si passa dalla demonizzazione dell’avversario all’accordo di governo con lui».

Anche lei trattò con Berlusconi la riforma elettorale.
«È vero. Le regole del gioco si fanno insieme; ma per la democrazia dell’alternanza, contro gli accordi fatti dopo il voto anziché prima del voto. Noi invece stiamo precipitando lì. Questo sistema senza nessun premio di governabilità rappresenta un paradosso; mi pare una conclusione tragicomica per una legislatura che ha avuto tre governi diversi. Ricordo quando Renzi diceva che la sera delle elezioni si deve sapere chi governerà. Ora faccio fatica a immaginare un Paese guidato da una delle due coalizioni che si possono formare».

Quali?
«Lega e 5 Stelle: se Grillo avrà più voti del Pd, il primo incarico di governo spetterebbe a lui. Oppure Pd e Forza Italia: un’alleanza di governo innaturale».

Un’alleanza nata già dopo il voto del 2013.
«Appunto: un’anomalia. Il segno di una fibrillazione iniziata con il declino di Berlusconi. Ma poi Renzi ha governato con una maggioranza in cui si vedeva molto forte la linea e il ruolo del Pd. Il proporzionale aggrava l’instabilità e i rischi di un attacco della speculazione finanziaria, che solo un governo stabile e riformista ci può consentire di evitare».

Non sarebbe la prima volta neppure per un patto Renzi-Berlusconi: c’è già stato il Nazareno.
«Io ho sempre difeso l’approccio con cui Renzi si era mosso anche incontrando Berlusconi: si dialoga sulle regole del gioco; ma poi quella sana distinzione tra innovazione e conservazione che fa la differenza tra sinistra e destra moderne si deve stagliare. Invece la prospettiva cui ci siamo avvicinando è un governo Pd-Forza Italia. Un errore gravissimo: perché non riesco a immaginare un riformismo possibile; e perché rischia di alimentare gli elettorati di protesta, offuscando quell’immagine di innovazione che il Pd ha sempre avuto».

C’è stato il referendum. Renzi riconosce che il suo sogno è morto il 4 dicembre.
«Ma così il Pd si alleerebbe con la forza che con maggiore determinazione ha condotto la campagna per il No. Io ho votato Sì, convinto che il Paese avesse bisogno di velocizzare e mettere in trasparenza i processi decisionali. Penso che la vittoria del No sia stata un errore, perché ha bloccato un processo di innovazione istituzionale di cui l’Italia ha grande bisogno. Sono da tempo angosciato per la crisi della democrazia. Il ritorno al proporzionale, con i governi di coalizione larga in cui ogni componente può chiedere potere in cambio del voto di fiducia, la aggraverebbe».

È pur sempre il sistema tedesco.
«Non è il sistema tedesco. Non c’è la sfiducia costruttiva. Ci sono 5 anni di fibrillazione e lacerazioni interne ai partiti, che con il proporzionale si sentiranno liberi di fare tutto quel che vogliono. C’è il trionfo del trasformismo. Già in questa legislatura ci sono stati 491 cambi di casacca; si figuri nella prossima. Stavolta lo dico io: voglio un Paese in cui la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto. E lo dicono anche Romano Prodi e Arturo Parisi. Per il Pd la costruzione di due schieramenti tra loro alternativi è la condizione della sua esistenza».

Teme che il proporzionale causi la definitiva implosione del Partito democratico?
«Il proporzionalismo di per sé aumenta la frammentazione, al di là della soglia di sbarramento (e voglio vedere alla fine dove la metteranno), e induce a fare campagna contro le forze che sono più vicine. Lo sbarramento agevolerà la costruzione di un soggetto politico alla nostra sinistra, e l’accordo con Berlusconi le regalerà una formidabile arma di campagna elettorale: gli scissionisti la faranno tutta contro il “connubio”, presentandosi come l’unica voce della sinistra. Sarà lo stesso argomento di Grillo e Salvini. Un bel paradosso: rischiamo di finire in un governo con Berlusconi per non aver voluto una legge con premio di coalizione, che ci avrebbe fatto trovare un equilibrio con forze che fino a pochi mesi erano nel Pd. O con Pisapia».

Ma è difficile fare una legge che produca il bipolarismo, se i poli sono tre.
«A me non sarebbe dispiaciuta una coalizione di centrosinistra con un ticket Renzi-Pisapia. Giuliano ha votato Sì al referendum. Si potevano fare primarie di coalizione. Un’alleanza corta tra il Pd e Pisapia potrebbe avvicinare il 38-40%, una soglia a cui sarebbe ragionevole fissare un premio di maggioranza».

Renzi le risponderebbe che non ci sono i voti in Parlamento. Se non per il proporzionale.
«Mi viene in mente una scena di Ecce Bombo: all’esame il professore chiede quanto fa 2 alla terza, e il ragazzo comincia a sparare una cifra dopo l’altra, sino a 7 milioni e 400 mila. Siamo passati dalla posizione più maggioritaria — l’Italicum — al proporzionale, attraverso il Mattarellum, il Provincellum, il Rosatellum. Ma non è la stessa cosa. Quali sono le urgenze? Stabilità, velocizzazione, e — per me — riformismo. Il proporzionale le esclude tutte e tre. E poi siamo sicuri che Pd e Forza Italia avrebbero la maggioranza? Rischiamo una instabilità totale, come ai tempi dei governi balneari. E una certa politica si nutre di instabilità, la adora; perché è una grande leva di contrattazione del potere. Se questa leva la togli ai partiti e la metti in mano ai cittadini ogni cinque anni, le cose cambiano».

Anche in Germania c’è una coalizione larga.
«Ma Berlusconi non è Angela Merkel. Forza Italia e il Pd non sono la Cdu e l’Spd, hanno altre tradizioni, altre storie. Io ho cercato di svincolare la sinistra dall’idea di un’alleanza contro qualcuno; e ora ci alleiamo con Berlusconi contro Grillo? Anche solo adombrare una simile ipotesi significa aiutarlo. Il Pd ha rotto con Berlusconi sull’elezione del presidente della Repubblica, quando su Mattarella era possibile costruire un consenso ampio come riuscii a fare attorno a Ciampi; e ora pensa di andare con Berlusconi al governo? Con quale linea sull’immigrazione? E sulle riforme istituzionali? La storia italiana ci insegna che quando si va in confusione si creano pasticci che non finiscono mai bene».

Mattarella chiede un consenso più largo possibile sulla legge elettorale.
«E ha ragione. Ma la cosa è nata da un’intervista di Berlusconi, che ha proposto uno scambio: proporzionale, che interessa a lui; e voto subito, che interessa a Renzi».

Sbaglia?
«Da persona che sta fuori dalla politica ma la guarda con passione, non voglio fare polemica con il segretario che ho votato alle primarie. Voglio dargli un consiglio, anche se Renzi non ama i consigli e non ama le persone che ragionano con la loro testa. Non si faccia prendere dalla febbre di giocare una partita di rivincita a breve. Chiuda la prospettiva del governissimo. Altrimenti i nostri avversari la useranno contro di noi, in nome proprio dell’innovazione. Ci strapperanno la nostra bandiera. E rischiamo un insuccesso elettorale che va assolutamente evitato. Perché sarebbe un disastro non tanto per noi quanto per il Paese».

Enrico Letta ha detto al Corriere che potrebbe non votare Pd. Lei?
«No, io lo voterò comunque».

E la Rai?
«La Rai rischia di perdere a favore di Mediaset i talenti che ha costruito in decenni, per una norma approvata in Parlamento in una delle ventate di demagogia. La Rai non può tornare a essere pallina da ping-pong nel tornado della politica. Invece è ancora la politica a decidere se l’amministratore delegato deve andarsene; e il criterio è il modo in cui ha gestito l’informazione. Ancora non si capisce che i grandi orientamenti di massa non sono determinati dai tg o dai talk-show, ma dal flusso culturale. Il successo di Berlusconi fu figlio di Dallas e di Dinasty, non di Emilio Fede. La Rai è un’azienda; senza autonomia, è morta».

La Rai non è mai stata autonoma dai partiti.
«Ma il partito di Agnes e Zavoli era la Rai. Oggi sento esponenti del Pd dare giudizi sprezzanti sullo speciale per Falcone: il meglio del servizio pubblico».

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