Manchester il concerto di Ariana Grande e gli altri contro il terrore «Non guarderemo avanti con rabbia»
I controlli della polizia iniziano a due isolati di distanza. «Con la borsa non si entra», ricordano gli agenti, armati. Sorridono, ma il pubblico sfila silenzioso, chi con l’impermeabile delle grandi piogge, chi con la maglietta ufficiale e la scritta One Love stampata sul petto. Doveva essere il concerto della rivincita, ma metabolizzare il terzo attacco terroristico in tre mesi è dura. Di fronte ai morti di Londra, sembra immorale fare salti di gioia all’idea di posare gli occhi su Ariana Grande, Justin Bieber, Miley Cyrus, anche a un bambino: «Non vedevo l’ora, ma adesso è diverso», racconta entrando allo stadio Aiden, 7 anni, che rigorosamente sfoggia la divisa del Manchester United. Sua sorella Sally ha in testa un cerchietto con le orecchie da gatto. È una fan, ma è pallida, stringe apprensiva la mano della madre.
«Sì, sono contenta di essere qui, spero che non succeda niente». C’è polizia ovunque, il tempio del cricket di Old Trafford è praticamente blindato per i 60.000 presenti. Le forze dell’ordine non hanno voluto lasciare nulla al caso, ma se, come ha detto Pharrell Williams dal palco, «in questo stadio non si avverte la paura, solo amore», è anche vero che l’atmosfera non è quella festosa e scatenata dei grandi concerti.
«Questa mattina quando ci siamo svegliati e abbiamo sentito la notizia dell’attentato a Londra abbiamo pianto», racconta la signora Davies. «Non sapevo se dirlo ai ragazzi o no, alla fine ho deciso di sì, tanto lo avrebbero scoperto». Le incertezze comprensibili di una madre. «Mia figlia Bella era all’altro concerto, quello dell’Arena. Ha 14 anni. Era la prima volta che dicevo sì, che la lasciavo andare con le amiche, senza adulti». Ieri erano a Old Trafford. «È sempre difficile per un genitore decidere quando è il momento di allentare i controlli, ma stamattina, quando Bella mi ha detto che non era certa di voler andare al concerto, mi sono sentita peggio. Non è giusto che crescano nella paura».
Il dilemma di due generazioni: sicurezza e vita, prudenza e prigionia. Come trovare il giusto equilibrio, come insegnare ai ragazzini segnati prima dalla bomba di Salman Abedi, poi dagli attacchi di Londra, che la quotidianità non è sempre e solo piena di insidie? «Ho due figli, è un problema che conosco e che mi pongo anch’io», ha raccontato prima di salire sul palco Chris Martin, dei Coldplay. «Quando succedono cose come queste c’è la sensazione che forse sarebbe meglio stare a casa, chiudersi dentro. Invece uscire, venire a un concerto, ballare insieme ad altri, stare insieme è l’antidoto perfetto, perché la realtà è che non siamo soli. Insieme possiamo farci forza».
Il silenzio raccolto prima dell’inizio del concerto, le voci del giovane coro della Parrs Wood High School: non sono mancati i momenti commoventi, non solo per il pubblico. Robbie Williams è riuscito a stento a cantare Angels. Aveva gli occhi rossi. Manchester è la sua città. Il produttore del concerto, Scooter Braun, ha condiviso il messaggio di un quindicenne ferito, Adam, che il 22 maggio ha perso un’amica: «Non guarderemo avanti con rabbia». La canzone degli Oasis «Don’t look back in anger» (Non guardare al passato con rabbia), cantata ieri anche dai Coldplay, è diventata un simbolo della città ferita.
Per una sera il terrore è stato dimenticato. One Love, organizzato da Ariana Grande e la sua squadra in meno di due settimane, è stato visto e ascoltato in più di 50 Paesi. Potrebbe passare alla storia, come LiveAid, un concerto da riguardare e risentire. Come la kermesse di Bob Geldof nel 1985, e Live 8 nel 2005, fotografa un momento, con i suoi problemi, le sue sfide, la sua musica. «Manchester, siamo qui, siamo insieme», ha detto will.i.am, dei Black Eyed Peas. «Grazie al sindaco di Londra, grazie al sindaco di Manchester, grazie alla polizia. One Love».
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