Addio capilista, pochi leader saranno al sicuro

ugo magri
roma

Un soprassalto di pudore ha messo freno all’ansia di alcuni nostri leader che, per essere certi di tornare onorevoli, avevano architettato giorni fa lo stratagemma seguente: nella legge di cui la Camera inizia oggi le votazioni era stato infilato uno strano e contorto sistema di precedenze. Non veniva eletto chi ci si sarebbe logicamente aspettato, cioè il vincitore del proprio collegio indicato sulla sinistra della scheda. Nossignore, la poltrona sarebbe spettata di diritto al primo nome di una lista stampata a destra del simbolo (il cosiddetto «listino circoscrizionale»). Tutti gli altri candidati sarebbero stati a rischio di bocciatura, tranne appunto quei pochissimi “numeri uno”; e va da sé che l’intera Casta avrebbe tentato di farsi mettere al primo posto dei 26 listini alla Camera e dei 19 al Senato. Durante il weekend la norma salva-leader è stata cancellata, l’intero congegno delle precedenze ridisegnato. Ciò non significa che per i capi-partito le prossime elezioni diventeranno una “roulette russa”; le possibilità di mettersi al sicuro ci saranno comunque, però in maniera più sudata e un po’ meno sfacciata. Per chi crede nella bellezza della lotta e nella guerra ai privilegi, il passo avanti è indiscusso.

 

ELETTO CHI VINCE

Quale effetto delle modifiche verrà banalmente eletto chi vince: cioè chi arriva primo in ciascuno dei 225 collegi uninominali per la Camera (112 per il Senato). Fino a domenica i collegi erano più numerosi, rispettivamente 303 e 150; da questo punto di vista sono in molti (specie tra chi vuole bloccare la riforma) quanti denunciano la difformità rispetto alla Germania che si vorrebbe imitare. Là c’è un perfetto equilibrio tra la rappresentanza eletta nei collegi e quella che scatta attraverso i listini. Invece da noi, per effetto delle ultime correzioni, gli eletti tramite «listino» saranno ben più numerosi: 381 alla Camera e 188 in Senato. Se la legge verrà approvata, i «nominati» invaderanno quasi i due terzi del futuro Parlamento. Nello stesso tempo, però, quegli stessi «nominati» dovranno mettersi in coda. Rispetto a loro avranno la precedenza i vincitori dei singoli collegi, vale a dire coloro che avranno accettato di metterci la faccia e magari di venire sconfitti. I «nominati» dei listini potranno farsi largo soltanto se nella propria circoscrizione “avanzerà” qualche seggio per il rispettivo partito, in base al criterio proporzionale. Nell’ottica del cittadino elettore, c’è un barlume di logica in più. In quella dei leader politici, si eleverà la percentuale di rischio perché, quando si accetta di scendere nell’arena, non si può mai sapere come finirà tranne che in certi collegi della dorsale appenninica (ma quelle roccaforti «rosse» sono ormai mosche bianche).

 

LA TRAPPOLA ANTI-BERSANI

In sintesi: con le ultime correzioni, cresce la platea dei «nominati» ma cala quella dei «garantiti». «Nessuno potrà sentirsi del tutto al sicuro», prevede Dario Parrini, renziano, tra i “padri” del modello tedesco in salsa italica. Il risultato sarà che certi capi-partito sceglieranno di candidarsi in un collegio, però poi si piazzeranno in cima al listino bloccato della stessa circoscrizione, in modo da garantirsi comunque una via di fuga (la legge in discussione lo permette, sebbene le pluri-candidature siano state abolite tra pifferi e tamburi). Nel caso dei partiti più piccoli, che non hanno speranza nei collegi, i leader si aggrapperanno alla ciambella dei «listini». Bersani e D’Alema potranno salvarsi solo nominando se stessi tra i «nominati». Ma il Pd sta preparando l’ennesimo trabocchetto: far sì che, prima dei «traditori» Mdp annidati nei «listini», venga eletto il migliore perdente dei collegi uninominali. Nel nome, ovviamente, della battaglia contro i nominati dall’alto . Un emendamento è già pronto per essere presentato.

LA STAMPA

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