L’incoscienza dei leader
Beata incoscienza: i quattro leader che con un solido, quanto imprevedibile accordo, stanno importando in Italia il modello tedesco, del proporzionale non hanno alcuna esperienza.
In altre parole nessuno dei contraenti del patto, grazie al quale oggi il testo della nuova legge elettorale comincerà ad essere votato alla Camera – e verosimilmente approvato -, ha avuto pratica con quel sistema. Tolto Berlusconi, uomo-simbolo della Seconda Repubblica, che ha introdotto in Italia il bipolarismo centrodestra-centrosinistra, gli altri tre appartengono all’epoca della crisi del maggioritario, delle coalizioni esauste o impossibili, delle maggioranze variabili, delle scissioni parlamentari, dei governi tecnici o non scelti dagli elettori, dei tre poli da un terzo dei voti che non fanno maggioranza.
In un certo senso si potrebbe dire di loro che non sanno quello che fanno, l’accordo è dettato dall’istinto di sopravvivenza. Non sono alleati (tranne che su questa legge), non è detto che lo saranno, è molto probabile che nessuno di loro guiderà il prossimo governo. Non c’è neppure, tra i quattro (ma ormai da tempo non c’è più in Parlamento né fuori), quel sentimento di rispetto e di colleganza, quel senso di responsabilità che legava la classe politica della Prima Repubblica in rapporti personali e talvolta amichevoli. Il compromesso riguarda in fondo i destini di ciascuno, Renzi riconfermato leader alla prova delle sue prime elezioni politiche, Berlusconi non più leader, se non dei suoi fedelissimi, impegnato a non farsi mettere definitivamente da parte, Grillo e Salvini alla scommessa del populismo nostrano.
È di qui che occorre partire per valutare quanto sta accadendo. Da diversi anni l’Italia, come gran parte dei Paesi democratici europei, è alle prese con un problema: come fare a consentire a una minoranza del 45, 40, 35 per cento (nel tempo, i numeri si sono ristretti) di diventare maggioranza in Parlamento. I collegi uninominali, introdotti nel ’94 con il Mattarellum erano una risposta notevolmente maggioritaria (il 75 per cento dei seggi veniva assegnato così), ma non sufficiente, dato che il 25 per cento restava proporzionale (e, va detto, con listini bloccati, cioè con parlamentari nominati anche allora). Il Porcellum (non a caso cancellato dalla Corte Costituzionale) portò all’esasperazione questo meccanismo: non era più necessaria una minoranza forte per avere il controllo del Parlamento, bastava vincere. Teoricamente, se dieci partiti avessero ottenuto il dieci per cento ognuno, quello con un voto in più avrebbe avuto seggi pari a oltre cinque volte i voti raccolti: un’enormità! E più o meno lo stesso, tale da ricevere una seconda bocciatura della Consulta, era l’Italicum: per superare il primo turno serviva il 40 per cento, ma nel secondo, per vincere, non c’era alcuna soglia.
Inoltre, ciò che in Francia, Spagna, o Inghilterra funziona, in Italia non ha funzionato. I governi Prodi e Berlusconi dei primi due decenni della Seconda Repubblica ebbero il merito di legittimare pienamente i post-comunisti e i post-fascisti, prima d’allora condannati pregiudizialmente per quasi mezzo secolo all’opposizione, ma non riuscirono a governare. Le coalizioni si formavano per partecipare alle elezioni, e poi non reggevano. Falliti anche i tentativi di trasformarle in partiti, per por fine una volta e per tutte alle distinzioni, per non dire ai ricatti, degli alleati minori, questi stessi, sentendosi ricattati a loro volta, se ne andavano via via, seppellendo quel che restava delle alleanze, dando vita a scissioni e polverizzazioni prima di uno schieramento e poi dell’altro, mentre in odio a entrambi un terzo degli elettori decideva di affidarsi al Movimento 5 stelle.
Chiedersi adesso a chi conviene il nuovo sistema, e chi ha più probabilità di spuntarla, non serve. Il tedesco, è sicuro, cancellerà i piccoli partiti al di sotto del 5 per cento. Eppure non è chiaro chi vincerà. La fase italiana della «non vittoria» potrebbe continuare. E volendo, infine, trovare un filo di speranza in un quadro così nero, non era affatto detto, e non è trascurabile, che una legge elettorale, la più politica delle leggi, origini da un accordo, forse più da un armistizio, tra i quattro maggiori partiti. Che si preparano a ereditare, e forse perfino a dover governare, in futuro, il disastro di questa legislatura.
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