La Cassazione: «Riina è malato, ha diritto a una morte dignitosa»

Totò Riina parla con uno dei legali nell’aula bunker dell’ex carcere fiorentino di Santa Verdiana, durante il processo per gli attentati del 1993 a Milano, Roma e Firenze (Ansa)
Totò Riina parla con uno dei legali nell’aula bunker dell’ex carcere fiorentino di Santa Verdiana, durante il processo per gli attentati del 1993 a Milano, Roma e Firenze (Ansa)

Un detenuto anziano e malato, forse in procinto di lasciare questa terra per cause naturali che non hanno nulla a che fare con il carcere di massima sicurezza in cui è rinchiuso, ha comunque il «diritto di morire dignitosamente». Anche se si chiama Totò Riina. Che poi, per sostenere che è ancora il pericoloso capomafia che fu, nonostante l’età e le condizioni di salute, bisogna avere qualche prova recente della sua capacità di comandare; non basta ribadire che è il capo di Cosa nostra, come fosse una realtà immutabile dopo 24 anni di galera.

Le raccomandazioni della Corte

Per queste ragioni la prima sezione penale della Corte di cassazione ha accolto l’istanza del padrino corleonese e ordinato al Tribunale di sorveglianza di Bologna di motivare meglio la negazione del differimento della pena (e dunque l’uscita dalla prigione) al pluri-ergastolano ottantaseienne che vive al «carcere duro» dal gennaio 1993. Una decisione fondata su principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti umani, ma che suscita scalpore per il nome del detenuto. E per la ipotetica differenza di trattamento con l’altro boss corleonese Bernardo Provenzano, morto nel luglio scorso al «41 bis», confermatogli tre giorni prima del decesso per il «valore simbolico del suo percorso criminale», benché fosse da tempo quasi un vegetale, non più in grado di intendere e di volere tanto da non poter essere processato.

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Il «capo dei capi»
Le condizioni del boss

Totò Riina, invece, è ancora un imputato in grado di partecipare alle udienze dei dibattimenti a suo carico (sebbene steso su una lettiga), ma versa in condizioni così gravi che secondo il suo difensore Luca Cianferoni, del foro di Roma, sono incompatibili con la permanenza in carcere, attualmente quello di Parma. Un anno fa, il 20 maggio 2016, il Tribunale di sorveglianza di Bologna respinse la richiesta, ritenendo che in prigione il boss potesse disporre di tutte le cure necessarie e che «lo stato di detenzione nulla aggiunge alle sofferenze della patologia, essendo il rischio dell’esito infausto pari e comune a quello di ogni cittadino, anche in stato di libertà». Tanto bastò a tenerlo in galera, con tutti i suoi malanni.

Le valutazioni necessarie

Motivazioni troppo affrettate e generiche, ribatte ora la Cassazione, che finiscono per essere «apodittiche, illogiche e contraddittorie». Per negare la sospensione della pena a una persona gravemente malata, infatti, non basta dire che gode di un’assistenza sanitaria adeguata; al fine di evitare i «trattamenti inumani e degradanti» banditi dalla Carta europea dei diritti dell’uomo, bisogna verificare «ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che dev’essere rispettata»; nonché valutare «il complessivo stato di logoramento fisico in cui versa il soggetto», anche in considerazione della sua vecchiaia.
Insomma, il Tribunale di Bologna dovrà accertare (e motivare «adeguatamente», a differenza di un anno fa) se «lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza e un’afflizione di tali intensità da eccedere il livello che, inevitabilmente, deriva dalla legittima esecuzione della pena». Al di là delle cure garantite. Che comunque nel penitenziario di Parma sembrano scarseggiare se, come rilevato dagli stessi giudici di sorveglianza, il letto rialzabile di cui ha bisogno Riina è troppo grande per entrare nella sua cella.

Lo status di capomafia

È la prima volta che un simile pronunciamento apre uno spiraglio per un detenuto di così alto livello criminale, il più famoso e sanguinario, e l’avvocato Cianferoni esulta in vista dell’udienza del prossimo 7 luglio già fissata per decidere su un’altra instanza del medesimo tenore: «La situazione si aggrava ogni giorno, e io presento richieste a raffica». Ma oltre al «senso di umanità» che la pena deve rispettare pure per Riina, la Cassazione chiede di riesaminare il suo status di capomafia: «Ferma restando l’altissima pericolosità del detenuto e il suo indiscusso spessore criminale», infatti, i giudici di sorveglianza dovranno chiarire «come tale pericolosità possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale decadimento fisico». Anche se un mafioso è per sempre, ci vogliono «precisi argomenti di fatto» per sostenere «in concreto il pericolo di recidiva».

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