Una mano salva l’altra
A trarre in salvo il bambino cinese sommerso dall’onda impazzita di piazza San Carlo sono stati un Federico italiano e un Mohammad senegalese. Ma più che la diversa pigmentazione della pelle dei protagonisti, di questa storia mi ha colpito qualcosa di invisibile agli occhi. Anche Mohammad era stato travolto dalla folla in fuga. Proprio quando aveva creduto di morire soffocato sotto la pressione degli altri corpi, una mano si era abbassata verso la sua e lo aveva riportato a galla, nel mondo dei vivi. Mohammad dice di avere sentito un pensiero farsi largo nella sua testa: «Prima di andare via, anche tu devi salvare qualcuno». Così aveva aguzzato lo sguardo. E visto il bambino.
La sua parabola di beneficato-benefattore riporta alla mente quella del miliardario che dispensava biglietti da dieci dollari ai barboni di New York, travestito da Babbo Natale per non farsi riconoscere. A chi gli chiedeva le ragioni della sua schiva generosità, rispondeva che da giovane era stato un barbone anche lui. Una sera aveva cenato a sbafo in un locale e il cameriere minacciava di chiamare la polizia. Ma il proprietario aveva poggiato un biglietto da dieci dollari sul tavolo: «Signore, le sono caduti questi», gli aveva detto. E il suo cuore si era aperto per sempre. A differenza delle parole, i gesti parlano al nostro subconscio. La loro potenza emulativa è strabiliante. Quel bambino cinese lo hanno salvato in tre: Federico, Mohammad e la mano ignota che ha salvato lui.
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