Voto in Gran Bretagna, l’incredibile rimonta di Corbyn «il rosso»

Quando è uscito il programma elettorale, lo hanno paragonato al «più lungo biglietto di suicidio della storia», quel manifesto estremista del 1983 che consegnò i laburisti a una delle loro peggiori disfatte, prologo della successiva svolta riformista del New Labour e dei trionfi elettorali di Tony Blair.

«Ritorno agli anni Settanta», hanno titolato i giornali. E in effetti il leader Jeremy Corbyn prometteva la nazionalizzazione dei servizi pubblici, l’abolizione delle tasse universitarie, pasti gratis nelle scuole, fine dei tagli alla sanità e all’istruzione. Un Paese di Bengodi finanziato da una pesante stangata fiscale sui redditi medio-alti e sulle imprese. L’esatto contrario del Labour vincente di Blair. Il partito laburista sembrava quindi spacciato, relegato su posizioni di ultrasinistra, nel ruolo di movimento marginale di protesta schiacciato dai tank conservatori di Theresa May. Perfino i suoi candidati andavano in giro a dire agli elettori: «Votate tranquillamente per me come persona, tanto non c’è nessun rischio reale che Corbyn vinca e diventi primo ministro…».

Ma poi qualcosa è successo. La macchina di propaganda del governo si è inceppata. I laburisti hanno cominciato a macinare consensi, riducendo i venti punti di distacco iniziali. Con qualche sondaggista che dava addirittura Theresa May senza più maggioranza. Quel programma apparentemente fuori dal tempo è piaciuto agli impiegati del settore pubblico, ai lavoratori del servizio sanitario, ma soprattutto a un Paese stanco di anni di austerità. Ed è piaciuto ai giovani: sotto i 24 anni, i consensi per Corbyn sono al 70 per cento. Come qualcuno ha scritto, è come se i ragazzi avessero trovato un vecchio disco in vinile e scoperto che suona meglio di tutta la musica ascoltata negli ultimi venti anni.

CORRIERE.IT

 

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