Boccassini: “Riina resti in cella. Non è vendetta, solo giustizia”
di PIERO COLAPRICO
MILANO. Anche Ilda Boccassini si schiera contro la possibilità che il capo dei capi di Cosa Nostra, responsabile di stragi e di centinaia di omicidi tra cosche, possa tornare a casa per ragioni umanitarie. Magistrato impegnato da decenni nell’antimafia che porta in carcere, e con condanne definitive, i criminali di peso, Boccassini affida a Repubblica il suo pensiero: “Il provvedimento dei giudici di sorveglianza di Bologna è stato un atto di giustizia e non di vendetta nei confronti del pluriergastolano Salvatore Riina. Ho percepito, al contrario, come inappropriate e per nulla condivisibili le dichiarazioni del presidente dell’Associazione magistrati. Mi auguro che, in questo caso, le sue parole non rappresentino il pensiero della maggioranza dei colleghi. Soprattutto – mi pare doveroso sottolinearlo – di quanti, in silenzio e rifuggendo la luce dei riflettori, ogni giorno si adoperano nel contrasto al crimine organizzato, e in generale per garantire ai cittadini una giustizia giusta”.
Boccassini non nomina mai la Cassazione, ma difende la linea del tribunale di sorveglianza di Bologna, competente sul carcere di Parma. Qui Riina è attualmente detenuto, dopo la cattura nel 1993 e una lunga permanenza nel carcere milanese di Opera, dov’era stato intercettato mentre si vantava con un altro detenuto del suo potere mafioso. Per i giudici bolognesi, spiega un’ordinanza del maggio 2016, le sue condizioni di salute, “pur gravi”, sono curabili in carcere, non sono stati mai superati i “limiti” del rispetto dell’umanità ed è la “notevole pericolosità” a imporre la “detenzione inframuraria”. Ma nei giorni scorsi la prima sezione penale della Cassazione ha bollato quell’ordinanza come “carente e contraddittoria”. Ha ricordato “l’esistenza di un diritto a morire dignitosamente ” e rimandato gli atti nel capoluogo emiliano, dove si deciderà il 7 luglio.
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Per Eugenio Albamonte, presidente dell’Anm, la Cassazione con i suoi distinguo “dimostra che lo Stato è più forte della mafia”; di più, “una giustizia che ragiona in termini di diritti nei confronti di una persona che li ha negati dovrebbe renderci orgogliosi”. Ma proprio queste parole, dette da Albamonte a Repubblica tv, non sono piaciute a Ilda Boccassini. A lei, procuratore aggiunto a Milano, guardano molti di quei magistrati e detective che “si adoperano per garantire ai cittadini una giustizia giusta”. E tra loro non sono pochi quelli che, come ha spiegato ieri “Omar”, uno dei carabinieri che catturarono nel 1993 il capo dei capi, si aspettano la certezza della pena.
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Va ricordato che sia Bernardo Provenzano, sia Luciano Liggio, boss paragonabili a Riina, nonostante fossero in condizioni di salute peggiori (ieri è comparso in teleconferenza al processo d’appello per la strage del Rapido 904, che risale al 1984, mostrandosi in barella) sono morti senza poter tornare a casa.
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