Minaccia nel cuore dell’Europa, Putin punta i missili su Berlino

stefano stefanini
Washington

Scacciato dal Trattato sulle forze nucleari intermedie (Inf) del 1987, lo spettro dei missili torna nel cuore dell’Europa. La Russia schiera S 400, Iskander e Topom M a Kaliningrad, l’enclave russa incuneata fra Lituania e Polonia. Possono portare testate nucleari. Gli Iskander possono raggiungere Berlino e sfiorare Copenaghen e Stoccolma. Date le caratteristiche non balistiche le capacità d’intercettazione e difesa sono praticamente inesistenti.

 Sullo spiegamento Washington e la Nato hanno pochi dubbi. Le capitali europee non ne parlano ma lo sanno bene. Mosca del resto non lo nega. Al contrario ne fa parte integrante della propria strategia militare in Europa.

Il generale John Rutherford Allen non ha peli sulla lingua: «La Nato e i suoi membri hanno motivo di preoccuparsi di questa violazione gratuita del Trattato Inf. La Nato dovrà prendere in considerazione misure per difendersi da questa nuova minaccia russa».

Ex capo della coalizione internazionale anti-Isis, ora dirige uno studio sull’adattamento dell’Alleanza Atlantica agli scenari contemporanei di sicurezza, cui partecipa anche l’ex ministro della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola. Le sfide sono molte, dalla guerra informatica ai flussi migratori. Il rapporto finale uscirà a fine anno, ma l’analisi di questo strappo russo è chiara: la Russia ha identificato un tallone d’Achille della Nato nell’incapacità di saldare l’indivisibilità della sicurezza alla deterrenza nucleare.

 

 

I missili di Kaliningrad non possono essere considerati una risposta alle misure della Nato. È la versione russa; sul piano militare è risibile. Missili e testate atomiche, da una parte, e quattro battaglioni dall’altra, sono incommensurabili. Intanto Mosca aveva messo in cantiere lo spiegamento da prima. Ma soprattutto per numeri, mezzi e minime infrastrutture, la «Enhanced Forward Presence» serve soprattutto a scoraggiare; non potrebbe difendere contro la massiccia superiorità convenzionale russa.

 

Si può sostenere che i missili di Kaliningrad siano un deterrente che garantisce a Mosca il corridoio di sicurezza verso il Baltico. Nessuno lo minaccia: non esistono piani o esercitazioni offensive Nato contro Kaliningrad. Tuttavia si trova nel mezzo della Nato e dell’Ue e nella percezione russa di sicurezza, insofferente della contiguità territoriale, Kaliningrad è a rischio per definizione.

 

Ma questo non basterebbe a mettere in discussione un architrave di sicurezza in Europa. Firmato da Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan in epilogo di Guerra Fredda, il Trattato Inf fu il primo grande passo verso la riduzione degli armamenti nucleari e convenzionali. Eliminare i missili a breve-media gittata (furono fisicamente distrutti) significava escludere la possibilità di annientamento nucleare senza preavviso. Lo spiegamento di Kaliningrad è un passo indietro di quarant’anni. Costringerebbe anche la Nato a rivedere la propria dottrina di deterrenza nucleare.

 

Da Kim Jong-un ci aspettiamo l’irresponsabilità. Non da Vladimir Putin. Il presidente russo ha l’abilità di far perdere l’equilibrio agli avversari con mosse a sorpresa, spesso alzando la posta in gioco. Crimea e Siria sono esempi da manuale. A Kaliningrad gioca però d’azzardo con giocattoli pericolosi. Sta inoltre conducendo la Russia sul sentiero dell’inaffidabilità, delle favole di hacker russi «patriottici», della violazione dei patti e delle carte truccate, dalla geopolitica allo sport. Non stupisce la mezza comprensione per la decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici: solidarietà fra chi non si sente legato dal rispetto dei patti.

 

Lo strappo all’Inf rende la deterrenza ancor più indispensabile. Secondo Victoria Nuland, ambasciatrice alla Nato di George W. Bush, Assistant Secretary per l’Europa di Obama, «lo spiegamento di missili russi a Kaliningrad rende più imperativo per la Nato riaffermare l’impegno alla difesa collettiva e all’articolo 5 del Trattato di Washington».

 

Si rafforza anche la necessità di confrontare Mosca in un dialogo serrato. Recentemente, un ex-ufficiale dell’Fsb (già Kgb) mi diceva: «alla Russia, non basta un accordo sull’Ucraina; occorre un’intesa più ampia, che comprenda la difesa anti-missile», da sempre – è del 1983 il discorso di Reagan sulle «guerre stellari» – spina nel fianco di Mosca.

 

Nell’ottica russa, i missili di Kaliningrad aggirano le difese anti-missilistiche della Nato e salvaguardano così la parità nucleare strategica con gli Usa. Per Washington e per l’Alleanza, la difesa anti-missile protegge da «piccoli» aggressori come Iran o Corea del Nord; non potrebbe fermare l’enorme arsenale russo. Mosca resta però tenacemente abbarbicata al mito della parità; non vuole trovarsi con una capacità in meno. È ora che le due parti parlino seriamente, prima di avvitarsi in una nuova, pericolosa, imprevedibile escalation.

LA STAMPA

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