Il G7 dell’ambiente è un flop

francesca paci
roma

La montagna non ha partorito il topolino perché bisogna aspettare ancora la dichiarazione finale e perché in fondo, dopo l’abbandono degli accordi di Parigi da parte del presidente americano, le aspettative non erano enormi. Ma il rappresentante degli Stati Uniti che si congeda con largo anticipo dai colleghi riuniti a Bologna fotografa meglio di qualsiasi retroscena lo stato di un vertice come il G7 nell’era Trump, in particolare di uno dedicato all’ambiente.

 «Premesso che ci aspettavamo la distanza sul clima, siamo soddisfatti perché pur rifiutando l’accordo di Parigi l’America resta impegnata nella riduzione delle emissioni» fanno sapere dall’entourage del ministro Galletti. L’equilibrismo è consapevole e necessario: Trump non chiude completamente a un futuro de-carbonizzato ma di fatto rigetta lo strumento concordato dal resto del mondo per realizzarlo, ossia gli impegni sottoscritti a Parigi. Da questo punto di vista sebbene, pare, annunciata in anticipo, la sortita rapidissima del direttore dell’agenzia americana per l’ambiente Scott Pruitt chiarisce ogni possibile dubbio. La sedia americana non resta vuota, ma la supplente incaricata di arrivare fino in fondo marca il limbo in cui si muove la Casa Bianca, perché l’uscita dall’accordo di Parigi non può avvenire prima di tre anni dall’entrata in vigore (il 2016) e la procedura richiedere un altro anno. Le difficoltà giuridiche del divorzio insomma, lo rendono non meno difficile della Brexit e comunque non raggiungibile a pieno prima del 2020.

 

«A Bologna abbiamo raggiunto un accordo completo tranne che sul clima» commenta a caldo il ministro Galletti. Il clima però, non è esattamente poca cosa. Esperti e think tank di mezzo mondo stimano che lo sfilarsi degli Stati Uniti da Parigi aggiungerebbe 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2) all’anno alle emissioni globali, aumentando la temperatura della Terra da 0,1 a 0,3 gradi entro la fine del secolo. E, nei corridoi del G7, gli sherpa lasciano intendere di confidare che nei prossimi quattro anni l’amministrazione Usa torni sui suoi passi, riveda le sue scelte, sfumi i toni. Canada e Germania su questo sono i più pessimisti, la Germania particolare sta tessendo rapporti privilegiati con Pechino per mantenere il gigante cinese a bordo. L’Italia invece fa mostra di ottimismo sulla possibilità di una ricucitura con la Casa Bianca.

 

La strada è in salita ma non chiusa. Gli Stati Uniti di Trump, risoluti a seguire una politica di riduzione dei gas a effetto serra più favorevole ai propri interessi, potrebbero sempre abbandonare del tutto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc). Ma sarebbe uno strappo che probabilmente neppure il presidente vuole. Restano le vie traverse. Trump ha tirato la palla in tribuna ma gli altri 195 Stati firmatari dell’accordo di Parigi e impegnati a contenere il riscaldamento globale entro i 2 gradi dai livelli pre-industriali possono continuare la partita.

LA STAMPA

 

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