Grillo prepara il passo indietro. E la base reclama: diventiamo partito
«Successi, fallimenti e obiettivi» è la sintesi che fa Beppe Grillo per tentare un’analisi difensiva sul crollo del M5S nelle città. È un bel titolo per raccontare il Movimento che sarà, alla luce delle strategie attuali. I successi sono i sondaggi: Roma può affondare, l’eroina Chiara Appendino inciampare in una maledetta notte di calcio, Grillo sfiduciare la candidata di Genova, eppure il M5S resta lì sempre a galleggiare tra il primo e il secondo partito d’Italia. I fallimenti sono sotto gli occhi di tutti: l’incapacità di radicarsi sui territori e di offrire una classe dirigente locale autonoma non preda di guerriglie quotidiane. Roma è ormai vissuta come un peso e c’è chi ai vertici vive con sollievo il fatto di non essersi caricati le amministrazioni di altre grandi città con tutti i problemi che queste comportano. Perché, ecco il terzo punto, l’obiettivo è sempre lo stesso: arrivare al governo del Paese. Tutto il resto passa in secondo piano. Anche il tonfo alle amministrative, da assorbire al più presto. Ma c’è un’incognita che comunque peserà e che in qualche modo dovrà saldarsi ai piani nazionali di chi guiderà il M5S: le ambizioni di chi resta sul territorio.
Grillo e la leadership
A settembre è fissata l’incoronazione di Luigi Di Maio candidato premier. In quell’occasione Grillo farà il suo agognato passo indietro. A quel punto, è quello che si ripetono il comico e Davide Casaleggio, «ci sarà un leader riconosciuto», già legittimato da Grillo poche settimane fa quando ha detto che potrà scegliersi la squadra di governo. Il fondatore genovese resterà a fare il frontman d’assalto, presente quando ci sarà da chiamare la folla in piazza o da inviare fatwe via web. Ma con un ruolo politico defilato. L’istituzionalizzazione del M5S avrà la sua fase preparatoria in estate e in autunno la sua consacrazione. E c’è chi non aspetta altro per farsi avanti con un bagaglio di richieste che arrivano dalla base.
Via i due mandati
A livello locale il malumore per il cattivo risultato diventa l’occasione per dare sfogo a vecchie rivendicazioni. C’è chi chiede più automatismo nelle certificazioni delle liste per sciogliere la bizantina burocrazia grillina. A Chiavari, per esempio, è stato un consigliere regionale ligure, di certo non in odore di eresia, Gabriele Pisani a lamentarsi per l’assenza della lista, causa mancata certificazione della Casaleggio. Lo schema è ribaltato: non sono gli ortodossi a chiedere una svolta, ma chi è più vicino ai governisti di Di Maio. In Sicilia soprattutto, nell’area che fa riferimento agli amministratori, come Federico Piccitto sindaco di Ragusa o Giancarlo Cancelleri, futuro candidato alla Regione e braccio destro di Di Maio nella cabina di regia sugli enti locali, aspettano con ansia che il deputato si candidi al governo. Dall’isola, prossimo fondamentale obiettivo di Grillo, c’è chi chiede di strutturare il M5S nei territori per renderlo qualcosa di simile a un partito, con sedi, dirigenti riconoscibili e premiati per la capacità di portare voti. «Ma come si fa a creare una classe dirigente locale se c’è il vincolo dei due mandati?» si chiedono. Non deve stupire quindi che ieri sia stato proprio uno come Max Bugani, consigliere bolognese ma soprattutto fidatissimo dell’Associazione Rousseau accanto a Casaleggio, a picconare la regola aurea dei due mandati: «Ha fatto da freno a molti. C’è chi non si è ricandidato, come a Mira con il sindaco uscente». Il vincolo è la chiave per capire l’affanno locale del M5S, un partito nato sui meet-up e le campagne del territorio: i due mandati scoraggiano chi vuole fare politica, cominciando nella propria città per poi tentare il salto nazionale. Vuoi fare il consigliere a Canicattì o magari essere il nuovo-Di Battista? L’appeal (anche economico) del Parlamento è diverso e costringe ad anticipare le tappe.
Alleanze e incubo Grasso
Ma c’è un’altra richiesta che avanza: le alleanze con le liste civiche. Su cui pende un divieto. «Perdiamo perché corriamo da soli» ripetono i 5 Stelle. Due anni fa diversi parlamentari posero la questione a Gianroberto Casaleggio che li fulminò con un netto no. Eppure avere liste civiche a supporto può aiutare, soprattutto in vista della sfida in Sicilia. Una strada che sembrava in discesa, fino a quando dal Pd non è spuntato il nome di Piero Grasso. «Lui – temono Di Maio e la sua cerchia – sarebbe un grosso problema per noi».
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