I vantaggi di un nuovo bipolarismo

A giudicare dai commenti di molti politici sulle amministrative
di domenica l’Italia sembra una Repubblica fondata non sul lavoro ma su una diffusa incapacità di comprendere quanto siano importanti le istituzioni (tutte, sistemi elettorali compresi). Dove non è chiaro se quei politici non capiscono proprio oppure capiscono ma sfruttano cinicamente la credulità del pubblico. Non si può affermare (lo hanno fatto esponenti sia
di centrosinistra che di centrodestra) che le amministrative «dimostrano» che uniti si vince e poi difendere, per le politiche, la proporzionale, ossia un sistema elettorale fatto apposta per esaltare le divisioni. Così come non si può dire che i 5 Stelle siano finiti o quasi. Risultano ora esclusi in un gioco elettorale con doppio turno e ballottaggio. Ma la musica sarà tutt’altra quando si voterà alle politiche con la proporzionale. Sia perché il meccanismo non esclude nessuno sia perché gli altri andranno tutti quanti in ordine sparso. Nella confusione di linguaggi che caratterizza le elezioni con proporzionale chi urla di più si fa notare di più.

In Italia l’incapacità di valutare l’importanza delle istituzioni si manifesta in tanti modi. Ad esempio, ci sono quelli che temono l’instabilità di governo pur essendo, contraddittoriamente, a favore del bicameralismo simmetrico. Oppure ci sono quelli che tifano Macron, che sono deliziati per il fatto che egli sia diventato presidente e che si aspettano da lui grandi cose. Quelle stesse persone griderebbero al golpe fascista se qualcuno proponesse di fare eleggere direttamente anche da noi il presidente della Repubblica conferendogli gli stessi poteri di cui dispone oltr’Alpe. Semplicemente, non capiscono che un Macron al vertice (e dotato degli strumenti di governo di cui dispone) può esistere solo perché esiste quella istituzione. O ancora, ci sono quelli che dichiarano che le elezioni britanniche (nessun partito ha raggiunto la maggioranza assoluta) «dimostrerebbero» che il sistema maggioritario, se mai ha funzionato (sic), ormai non funziona più. Ma il maggioritario non determina necessariamente il bipolarismo (nel caso britannico, il bipartitismo). Ci sono stati altri casi simili nella storia britannica. Però, il maggioritario è un potente costrittore che favorisce, con frequenza, esiti bipolari.

In effetti, tornare a una competizione bipolare, usando allo scopo un sistema elettorale appropriato, sarebbe importante. La competizione bipolare favorisce la stabilità ma anche una certa moralizzazione della vita pubblica: rende difficile lo scaricabarile, inchioda i governanti alle loro responsabilità. Se chi governa è scelto di fatto dagli elettori, non può in seguito scaricare — e se tenterà di farlo non sarà credibile — le proprie inefficienze sugli altri, quelli con cui ha dovuto patteggiare dopo le elezioni.

Giudicate come vi pare i governi (di destra e di sinistra) che si sono succeduti in Italia dal 1994 (prime elezioni con il maggioritario) al 2011 (caduta dell’ultimo governo Berlusconi) ma è un fatto che vennero scelti dagli elettori, i quali ebbero in seguito la possibilità, dal loro punto di vista, di giudicarne virtù e difetti. Dove la competizione non è bipolare e i governi si formano dopo il voto per effetto di trattative fra i partiti, si entra in una notte in cui tutti i gatti sono bigi, in cui lo scaricabarile è la regola e nessuno è in grado di capire chi è responsabile di cosa. Va sfatato il mito secondo cui un cambiamento di legge elettorale potrebbe non sconvolgere i partiti e il sistema di partiti oggi esistenti. È un errore comune. Pochi capiscono che una nuova legge elettorale modificherebbe l’offerta politica (non ci sarebbero più gli stessi partiti) e il cambiamento dell’offerta politica inciderebbe sul comportamento degli elettori (i quali voterebbero in modo diverso da come hanno fatto in precedenza).

Roberto Giachetti (Pd), sul Foglio del 9 giugno, ha ricordato giustamente quanto i tentativi di reintrodurre il maggioritario siano stati contrastati negli anni passati proprio da alcuni di coloro che oggi fingono nostalgia per quel metodo di voto. Ma Giachetti ha torto, a mio avviso, quando afferma che la legge bloccata in Aula sarebbe stata il «male minore» rispetto al rischio di andare a votare con il sistema elettorale disegnato dalle sentenze della Corte costituzionale. Quella legge, se fosse stata varata, avrebbe imposto al Paese un sistema proporzionale (spacciandolo per «tedesco»), legittimato dall’accordo fra i partiti. Per lo meno, la (pessima) legge elettorale ora in vigore non dispone di legittimazione politica, è stata disegnata da sentenze che si sono sostituite (a mio giudizio, arbitrariamente) a decisioni parlamentari. È quindi lecito conservare la speranza di una riforma migliore, se non in questa nella prossima legislatura.

Nelle nostre condizioni la proporzionale genera ingovernabilità. Chi raccoglierà da terra (Renzi? O chi ?) la bandiera della democrazia maggioritaria abbandonata dagli altri potrebbe diventare, nei prossimi anni, il punto di riferimento di quella parte del Paese che è stanca di scivolare lungo un piano inclinato.

CORRIERE.IT

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