La forza della ripresa e le tentazioni da evitare

Hanno ragione Gentiloni e Padoan a rallegrarsi per i buoni dati della ripresa economica, senza usare aggettivi fuori luogo. E anche chi è accusato di guardare sempre il bicchiere mezzo vuoto (gufi, rosiconi e altri animali notturni del dibattito italiano) non può che esprimere soddisfazione leggendo le stime Istat sull’aumento del prodotto interno lordo. Un incremento dello 0,6 per cento è già acquisito quest’anno. Si andrà oltre l’uno. Il Fondo monetario poi, a conclusione della sua missione in Italia, si è spinto a prevedere una crescita a fine 2017 dell’1,3 per cento. Ma, dato sul quale si è riflettuto poco, il Fondo si aspetta uno sviluppo assai più lento negli anni successivi, temendo forse rischi politici e scarsa disciplina di bilancio. Gli esperti di Washington non mancano di sottolineare la bassa produttività, i pochi investimenti e soprattutto la colpevole distrazione di questi ultimi anni sulla dinamica del debito pubblico. Anche l’Ocse appare cauto nelle stime sulla crescita italiana. L’organizzazione di Parigi, che raggruppa i Paesi industrializzati, la calcola all’ 1 per cento nel 2017 e in discesa, allo 0,8, il prossimo anno. Nella sostanza si può dire che cresciamo un po’ più del previsto ma a una velocità inferiore a quella degli altri. Se ci misuriamo su noi stessi dobbiamo trarre un sospiro di sollievo. Senza dimenticare, però, che tutto avviene al riparo dell’ombrello della Banca centrale europea destinato fatalmente a finire con ripercussioni immediate sul costo del debito.

Se ci confrontiamo con gli altri, non abbiamo molti motivi di soddisfazione. La congiuntura europea è più favorevole del previsto. Un solo dato, significativo. Nel primo trimestre, le più grandi aziende quotate europee — è scritto in un report dell’analista Vincent Deluard — hanno aumentato gli utili del 37,8 per cento contro il 14,8 delle americane nello stesso periodo. Secondo le ultime analisi del Centro studi Confindustria diretto da Luca Paolazzi, la «crescita mondiale prosegue a un ritmo superiore alla media dei passati 25 anni». Ne beneficia l’export italiano salito del 4 per cento a marzo a prezzi costanti ma bisogna ricordare che il contributo della domanda estera alla crescita è stato negativo nel primo trimestre. Le macchine utensili vivono un autentico boom di commesse anche grazie alle norme sugli ammortamenti. Segnali positivi arrivano dal tessile-abbigliamento e dalla meccanica. Ma la novità forse più incoraggiante riguarda la ripresa dei servizi, che incidono ormai per i due terzi dell’economia. Alla recente assemblea dell’Assolombarda che ha eletto il nuovo presidente Carlo Bonomi, lo stato di salute e le grandi potenzialità dell’industria milanese, lodigiana e brianzola non sono stati celati dal consueto understatement. L’export lombardo cresce a ritmi superiori a quelli delle zone a più alta industrializzazione d’Europa. Il clima di fiducia nel terziario è ancora più alto.

La produzione industriale, su base nazionale, è in recupero a maggio (più 0,5 per cento), ma dopo essere diminuita dello 0,3 per cento nel primo trimestre. Anche sul versante dell’occupazione una certa cautela nel leggere i dati dovrebbe portare a qualche valutazione più sobria. È vero, in base alle rilevazioni Istat sul primo trimestre, che in un anno abbiamo avuto 326 mila occupati in più ma i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti solo dello 0,8 per cento rispetto al primo trimestre del 2016, quelli precari di oltre il 10. L’employment outlook dell’Ocse, appena pubblicato, è piuttosto severo nei nostri confronti. Il tasso di disoccupazione, oggi all’11,1 per cento, è il terzo più alto fra gli Stati membri. La percentuale degli occupati è al 57 per cento contro la media Ocse del 66 per cento. La ripresa c’è e va consolidata. Il rischio di indebolirla è tutt’altro che remoto. La tendenza italiana a considerare archiviata la crisi al primo raggio di luce è stata negli anni irresistibile. Insieme alla predisposizione a scambiare la stagione delle riforme e del rigore come un fastidioso periodo di forzata apnea, di dieta ingiusta e dannosa. Il ciclo della spesa, che fatalmente riprende vigore nell’imminenza delle urne, può essere scongiurato da una legge di bilancio attenta alla gestione della finanza pubblica e allo stimolo degli investimenti.

L’ulteriore flessibilità, che probabilmente verrà concessa da Bruxelles, non ci obbliga a ridurre il deficit, come da impegno peraltro scritto nel Documento di economia e finanza (Def) di aprile, all’1,2 per cento nel 2018. Ma non va sprecata come in passato. Serve per scongiurare gli aumenti Iva, ma anche per ridurre il peso fiscale sul lavoro (esempio il cuneo per i nuovi assunti). Siamo fiduciosi che Gentiloni e Padoan faranno della sobrietà e del realismo le linee guida della legge di bilancio, respingendo le tentazioni elettorali di tradurre la spesa in consenso o promettere tagli all’Irpef difficilmente sostenibili. In un’Europa che ritrova vigore e crescita, la serietà in politica paga più della facile spesa e della rimozione colpevole del debito.

CORRIERE.IT

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