Siccità record, scatta l’allarme energia. Centrali idroelettriche in tilt e rincari

paolo baroni
ROMA

Il primo allarme è arrivato a inizio giugno dall’associazione che riunisce i gestori europei delle reti elettriche. In Italia, secondo il rapporto semestrale di Entso-E, «la situazione della produzione di energia elettrica questa estate, e in particolare tra metà giugno e fine luglio, va monitorata con attenzione». Si temono infatti i rischi prodotti dal gran caldo, che da un lato può spingere al massimo i consumi e dall’altro creare problemi sul fronte della produzione. La siccità che quest’anno ha già raggiunto nuovi livelli record, con il lago di Garda a metà del suo riempimento, il livello del Po 2,5 metri sotto lo zero e gli invasi alpini ancora più scarichi dell’anno passato, nelle prossime settimane potrebbe creare notevoli problemi. Ad essere a rischio sono soprattutto le regioni del Nord e Centro Nord dove «la capacità di generazione rischia di ridursi in maniera significativa».

 L’effetto sulle bollette

L’idroelettrico, che sino a qualche anno fa garantiva quasi il 17% dei consumi nazionali di elettricità, dal 2015 in poi è in caduta libera: -25% sul 2014, un altro -8,9 nel 2016 con un trend che è continuato anche nei primi mesi di quest’anno sino a toccare un -29,2% ad aprile. Il dato di maggio arriverà a giorni e non dovrebbe essere terribile, ma non sposta più di tanto i termini del problema. Tant’è che di qui ai prossimi mesi si prevede un aumento sensibile dei prezzi di luce e gas, legati indissolubilmente tra loro nelle fasi di maggiore criticità. Secondo il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, «tutti i segnali portano a credere che i prezzi possano anche saltare».

All’ingrosso il costo di un megawattora dovrebbe così passare dai 40,5 euro di maggio ai 57 di luglio che corrisponde a un aumento dell’1% delle bollette dei clienti finali, mentre il metano potrebbe rincarare di 2-3 centesimi al metro cubo.

 

Tutti i principali produttori nazionali di energia, a partire da Enel e A2a, confermano che la situazione si sta facendo delicata anche se al momento siamo ben lontani dall’emergenza. «Nessuna criticità, siamo però in una fase di attenzione». Terna, che gestisce la nostra rete nazionale di distribuzione, sulla scorta della segnalazione di Entso-E ha già pianificato in anticipo una serie di contromisure che puntano a garantire la sicurezza e il bilanciamento dei flussi di elettricità disponendo che alcune centrali in via di dismissione restino a disposizione in caso necessità e agendo anche sul fronte dei consumi concordando ad esempio coi grandi consumatori la possibilità di interrompere 500 megawatt in più di forniture.

 

Rispetto al 2012 la potenza installata da fonti tradizionali (gas, carbone, petrolio) – rileva il «Summer Outlook» di Entso-E – in Italia è scesa da 77 a 62 Gigawatt: tra il 2012 ed il 2016 sono stati dismessi impianti con una capacità complessiva di 15 Gw a cui si aggiungono altri 5-6 Gw che oggi risultano indisponibili. È vero che tra eolico e fotovoltaico nel frattempo abbiamo guadagnato 29 Gw, ma questo non basta a mettere in sicurezza il Paese.

 

Tabarelli: il 2003 è lontano

«Per ora ci salvano i consumi, che scontano ancora gli effetti drammatici della deindustrializzazione e restano pertanto sempre abbastanza depressi», sostiene Tabarelli. Ma non si può escludere che un’ondata eccezionale di caldo, tanto più se estesa al resto d’Europa, ed alcuni imprevedibili fatti eccezionali (come è stato l’anno passato il blocco di alcune centrali nucleari francesi) o altri problemi sul fronte dell’importazione, ci facciano ripiombare nella piena emergenza. Di qui l’alert di Entso-E. Che nel suo report spiega che «a causa delle scarse precipitazioni piovose e nevose che hanno caratterizzato l’ultimo inverno e la primavera seguente l’Italia si trova a fare i conti con una disponibilità di risorse idriche decisamente inferiore rispetto alla media degli ultimi 10 anni». Siamo nell’ordine di un 20-30% in meno rispetto alle serie storiche.

 

l rischio black out viene ovviamente escluso, anzi la parola rappresenta un vero e proprio tabù per operatori del settore e gestori della rete. «Rispetto al 2003, l’anno dei due grandi black out storici – ricorda Tabarelli – la situazione è un poco diversa. Allora le centrali tradizionali che andarono in sofferenza perché senza acqua non si riusciva a raffreddarle a sufficienza, coprivano l’80% del fabbisogno, mentre oggi siamo poco sopra al 50%. Ma in compenso abbiamo un 20% di produzione da fotovoltaico ed eolico, ma si tratta di fonti intermittenti che vanno e vengono e che per questo rendono sempre necessario avere qualche risorsa di riserva. Se non sono le centrali gas, ma qui torniamo al ragionamento iniziale ed ai rischi legati ai picchi di caldo, bisogna ricorrere all’idroelettrico. Per questo è importante avere laghi e bacini pieni, se sono troppo scarichi invece è un problema».

LA STAMPA

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