Un Paese più debole (grazie alla Brexit)
Sarà un caso. Anzi, è certamente un caso che dopo la Brexit il Regno Unito stia vivendo alcune delle peggiori settimane della sua storia recente. Ma non è certamente un caso che la decisione di uscire dall’Unione Europea, presa a risicata maggioranza, non abbia contribuito ad eliminare uno solo dei grandi pericoli che oggi minacciano la Gran Bretagna come tutte le grandi nazioni europee, né abbia in alcun modo rassicurato un popolo che si scopre invece inquieto e instabile come raramente prima, quotidianamente sotto attacco. Non va certo meglio sul fronte del terrorismo islamista. E come potrebbe? Niente più della guerra al terrore ha bisogno di fiducia reciproca e di collaborazione sincera tra Stati europei, che devono potersi scambiare informazioni vitali sapendo che non saranno usate contro l’interesse nazionale. Gli inglesi, che vanno giustamente fieri dei loro servizi di intelligence, stanno ricevendo colpi durissimi, e certo non ha giovato il clima che si è instaurato con gli Stati Uniti, sospettati di tradire la riservatezza delle informazioni tradizionalmente fornite loro da MI5 e MI6, a causa della micidiale guerra interna di apparati che si è accesa intorno all’amministrazione Trump.
Del resto uno dei sottintesi della Brexit era proprio quello di sganciarsi dall’Europa per lanciarsi nell’Atlantico, verso l’America, seguendo una vocazione insulare sempre presente nella storia britannica. La presidenza Trump ha reso sicuramente più rischioso questo progetto; e paradossalmente ha rilanciato invece il ruolo dell’Europa che, dopo le elezioni francesi e tedesche e in piena ripresa economica, può risorgere a miglior vita. Né la Brexit è servita a dare stabilità politica a un Paese che l’ha sempre considerata un valore assoluto. Tutt’altro. Il rigurgito nazionalista, messaggio principale dei brexiter, ha infatti avuto vita effimera, e ha inguaiato chi nel partito Conservatore aveva sperato di costruirci su una nuova e duratura egemonia. Per questo Theresa May aveva chiamato le elezioni lampo. Il suo tentativo è fallito anche perché il nazionalismo dell’Ukip, che si è dissolto come neve al sole, ha ceduto metà dei suoi voti alla sinistra laburista di Corbyn, dimostrando così che il contenuto sociale di quella protesta era forse anche più forte di quello sciovinista. Quale nazionalismo, poi, in un Regno che è fatto di quattro nazioni, inglesi, scozzesi, irlandesi e gallesi? Il risultato è un parlamento senza maggioranza, circostanza rarissima per il sistema elettorale britannico; e un governo debole come non mai, costretto ora a trattare al ribasso le condizioni di uscita dalla Ue con gli altri governi europei, forse ricorrendo a un altro referendum. La Gran Bretagna potrebbe così dover rinunciare all’obiettivo principale dei brexiter: la chiusura delle frontiere agli stranieri. Perché se alla fine, un po’ per convenienza e un po’ per obbligo, resterà nel mercato interno europeo, dovrà tenersi anche la libera circolazione delle persone. Dopo di che, a che cosa sarebbe servita la Brexit? E, d’altra parte, neanche le polemiche sui tagli alla spesa pubblica seguite sia agli attentati che alla tragedia dell’incendio nella Grenfell Tower si possono giustificare con l’Europa, visto che la Gran Bretagna, che non ha mai aderito all’euro, non aveva nessun parametro fiscale da rispettare.
Non va sottovalutato poi il clima di divisione politica, la crisi della coesione nazionale, vanto britannico, che dalla Brexit in poi sembra manifestarsi, e non solo nelle urne. Capiremo forse presto perché quell’«uomo di pelle bianca e corpulento», come lo descrivono i testimoni, si sia l’altra notte lanciato a bordo di un furgone contro una folla di musulmani in uno dei quartieri più multietnici della capitale. Ma se fosse frutto, come sembra, di una fobia anti islamica, se fosse stato mosso dalla pretesa di vendicare le vittime del terrorismo islamista, avremmo davanti a noi i sintomi di una pericolosa crisi di nervi, e i rischi di una frattura senza precedenti nella storia multiculturale di Londra. Niente di tutto ciò può essere risolto dalla Brexit. Però tutto può essere aggravato. Gli inglesi hanno una grande dimestichezza storica con l’isolamento, a lungo splendido, dunque si può star sicuri che ce la faranno anche fuori dall’Europa. E noi europei abbiamo una tale dimestichezza con quello che Londra ha portato in dote alla Ue (capacità militare, liberalismo politico, mercato anglosassone) da perderci molto a nostra volta. Ma forse la lezione inglese può essere utile per tutti, sul continente. La modernità non fa sconti. Viviamo tempi pericolosi, nessuno se la cava voltando le spalle agli altri o alla storia. Tempi in cui non valgono più nemmeno i proverbi, ed essere accompagnati è comunque meglio che essere soli.
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