Brexit, è subito braccio di ferro. E la Bce è pronta al peggio

 

di ANTONIO POLLIO SALIMBENI

Bruxelles, 20 giugno 2017 – Parte il grande negoziato, la sfida più difficile per la Ue quanto per il Regno Unito. E parte in sordina, con i due negoziatori in carica, Michel Barnier per la Ue e il ministro per Brexit, David Davis, attenti a comunicare che ci sono le basi per una discussione proficua, non vendicativa. Salvo poi, nel corso della conferenza stampa dopo 6 ore di discussione, esprimere inevitabilmente le differenze su una questione importante: il collegamento della trattativa sulle condizioni di divorzio con quella sulle relazioni future tra Unione europea e Regno Unito. Al centro, i diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito e dei britannici stabiliti negli altri Stati membri, la fattura di Brexit coi conti da pagare e le frontiere, soprattutto quella irlandese. Le future relazioni riguardano il commercio e i servizi finanziari.

«Incontro molto utile per avviare il negoziato con il piede giusto», ha esordito Barnier davanti ai giornalisti nel tardo pomeriggio. «Solida base, insieme vogliamo raggiungere il migliore risultato con l’obiettivo della migliorare partnership possibile con la Ue», si è allineato Davis. Tutti e due concordano: «Un’intesa si può trovare». Barnier ha citato Jean Monnet: «Non sono né pessimista né ottimista, sono determinato», ha detto. «Sono un ottimista determinato», ha reagito Davis.

I due hanno stabilito che si vedranno una volta al mese. Prossimi appuntamenti il 17 luglio, il 28 agosto, il 18 settembre e il 9 ottobre. La scelta del calendario, fino all’8 ottobre, non è casuale: l’attesa – almeno quella europea – è che in autunno la Ue valuterà i progressi fatti e, se saranno considerati positivamente, si potrà parlare anche del futuro. Esattamente su questo percorso non si trovano d’accordo i due negoziatori. Il britannico Davis ha precisato che, per Londra, «il ritiro dalla Ue non può essere concluso senza tener conto della futura partnership. Ovvero che niente è concordato fino a quando tutto è concordato». Barnier non gli ha dato spazio. Ha riconosciuto che c’è, ovviamente, un rapporto tra le condizioni del divorzio e le future relazioni, ma «trattare l’oggetto del divorzio in via preliminare è solo una questione di buon senso: quando avremo fatto progressi sufficienti e concreti, sarò il primo a raccomandare al Consiglio europeo di aprire in parallelo il negoziato sulle future relazioni, che dovrà prolungarsi oltre il ritiro dei britannici dalla Ue». Aggiungendo: «È il Regno Unito che lascia l’Unione europea, non il contrario, e bisogna assumersene le le conseguenze umane, sociali, finanziarie, giuridiche, economiche e politiche che nessuno deve sottostimare o ridurre».

I rischi infatti non mancano. Il timore principale è che la mancanza di un vero mandato politico di Theresa May sulla Brexit possa sfociare in una situazione di stallo che, allo scadere dei termini previsti dall’articolo 50 (29 marzo 2019), conduca ad un’uscita non concordata del Paese dal blocco: un’opzione non auspicata dai 27, ma a cui oggi, molto più di dieci giorni fa, si guarda. E a cui ci si prepara. Come testimoniano le parole del capo della vigilanza unica europea (Ssm), Danielle Nouy, secondo cui la Bce sta preparando le banche anche a uno scenario di ‘hard Brexit’. Gli istituti, in particolare quelli con sussidiarie e filiali nel Regno Unito, dovranno quindi avere adeguati piani d’emergenza.

QN.NET

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