Vaticano, il giallo del revisore Il timore di un terzo Vatileaks

«Inutile negarlo: è un momento delicato per il Papa. Non vogliamo precipitare in un terzo Vatileaks…». L’ammissione arriva da Casa Santa Marta, la residenza di Francesco dentro la Città del Vaticano. Proviene da una delle persone più addentro alle questioni finanziarie della Santa Sede. Ma non si tratta di una reazione a caldo. Le dimissioni di Libero Milone, primo revisore generale dei conti vaticani, date martedì al Papa e subito accettate, tingono di mistero i contorni della riforma delle finanze vaticane. Eppure non appaiono inaspettate a chi seguiva da mesi l’azione del braccio destro del cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l’Economia, nei meandri della Curia.

Libero Milone, primo revisore generale dei conti vaticani: ieri si è dimesso a sorpresa
Libero Milone, primo revisore generale dei conti vaticani: ieri si è dimesso a sorpresa

Via con tre anni di anticipo

Milone, 68 anni, tra l’altro ex presidente e amministratore delegato di Deloitte, una delle maggiori società mondiali di consulenza, se n’è andato con tre anni d’anticipo rispetto alla scadenza dell’incarico. «Di comune accordo», si precisa. Ma nel comunicato scarno col quale martedì pomeriggio è stato fatto sapere che Milone ha dato le dimissioni e «il Papa le ha accolte», non c’è nessuna spiegazione. E questo moltiplica le voci sulle vere ragioni di una rottura che in Vaticano qualcuno paragona a quella con Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, nel maggio del 2012. «Deve averla fatta grossa», azzarda un cardinale con grande dimestichezza con le questioni economiche.

Indiscrezioni

Sono state fatte filtrare dal Vaticano indiscrezioni secondo le quali proprio Milone, «controllore dei controllori», sarebbe incappato in una indagine interna. Ma è ancora troppo presto per capire dove stia la verità. Si è parlato perfino di dimissioni chieste in realtà direttamente dal Papa, e subito date da Milone. Si può solo registrare che fin dall’inizio l’attività del Revisore generale ha vissuto momenti a dir poco tormentati. Nell’ottobre del 2015, a pochi mesi dal suo insediamento, il manager si accorse che era stato violato il suo computer, nell’ufficio di via della Conciliazione. E da lì aveva preso il via il secondo Vatileaks, dopo quella di tre anni prima che aveva coinvolto il maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele: uno scandalo che può avere contribuito alla decisione papale di dimettersi nel febbraio del 2013.

Le attività finanziarie della Santa Sede

Il timore vaticano è che adesso possano uscire altre carte riservate; altre indiscrezioni che, ancora una volta, riguardano le attività finanziarie della Santa Sede; le spese e gli investimenti dei dicasteri; i rapporti tra la Curia e gli organi di controllo. E, naturalmente, la cerchia di Francesco. Per questo si ammette esplicitamente il timore di «un terzo Vatileaks». Milone aveva il compito di analizzare i bilanci e i conti. Quando si era insediato, nel maggio del 2015, la sua scelta, caldeggiata da Pell, fu considerata un altro passo in avanti in direzione della trasparenza. E nel 2016 aveva chiamato accanto una decina di persone e due revisori aggiunti, Ferruccio Panicco e Alessandro Cassinis Righini, per aiutarlo a decifrare i geroglifici dei bilanci vaticani.

Metodi poco popolari

Ma i metodi del Prefetto e di Milone non hanno mai riscosso grande popolarità, dentro le Sacre mura. Quando a maggio il cardinale Pell e il revisore hanno scritto una lettera ai dicasteri contro due missive dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), presieduta dal cardinale Domenico Calcagno, sulla documentazione finanziaria da trasmettere, la tensione è riemersa. E martedì si è arrivati all’ultimo atto. Milone si è ritrovato prima «pesato» e misurato, poi guardato con crescente diffidenza, e alla fine isolato: una traiettoria condivisa, si dice, con Pell, sebbene gli esiti finora siano diversi. «La preoccupazione è che adesso parta una guerra di verità e di dossier a colpi di carte riservate», spiega un esponente vaticano. «Esiste un accordo tacito a non divulgare nulla. Ma bisogna vedere come si svilupperà questa brutta vicenda».

Precedenti

I precedenti danno i brividi. Hanno punteggiato la fase finale del papato di Benedetto XVI. E adesso scalfiscono per la seconda volta il profilo delle riforme finanziarie avviate da Francesco. La prima risale all’ottobre del 2015, quando la Gendarmeria vaticana arrestò due persone, accusate di avere sottratto delle carte riservate: monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, segretario della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative (Cosea) e Francesca Immacolata Chaouqui, membro della stessa commissione. I processi e le condanne che ne sono seguiti, anche nei confronti di due giornalisti poi assolti, non hanno portato una buona pubblicità.

Contraccolpi

Il caso di Milone promette di avere contraccolpi altrettanto negativi. «Ma il Papa ha preso atto, con coraggio, di avere scelto una persona sbagliata. Anche se Milone l’aveva scelto Pell», si spiega da Casa Santa Marta. «Francesco ha preferito assumersi la responsabilità anche di chi ha sbagliato in suo nome». Forse, è l’annuncio di una resa dei conti non conclusa. Rimane il mistero del modo in cui vengono decise le nomine apicali di esponenti laici quando si tratta di spulciare i bilanci vaticani. C’è qualcosa che non funziona. Ma nessuno sembra avere trovato ancora un rimedio.

CORRIERE.IT

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