Intesa in campo, svolta per le banche venete

MILANO Intesa Sanpaolo fa un passo avanti verso Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. All’advisor del Tesoro, Rothschild, è arrivata solo un’offerta, approvata all’unanimità dal consiglio di amministrazione di ieri.

Il gruppo guidato da Carlo Messina si rende disponibile «a fronte di un corrispettivo simbolico» ad acquisire «certe attività e passività e certi rapporti giuridici» che fanno capo alle due ex popolari venete, affondate dalla ventennale gestione di Gianni Zonin e Samuele Sorato a Vicenza e di Vincenzo Consoli e Flavio Trinca a Montebelluna. La volontà di Intesa è subordinata a «condizioni e termini che garantiscano (…) la totale neutralità dell’operazione» sui propri conti. Ovvero, Intesa non vuole pregiudicare la propria solidità patrimoniale, né i dividendi promessi. Men che meno intende affrontare un aumento di capitale.

L’operazione richiama l’acquisizione da parte di Ubi di Etruria, Marche e Chieti. In quel caso la bad bank, ovvero il contenitore di quanto non verrà acquisito da Intesa, venne messa a carico del Fitd, il Fondo Interbancario partecipato dalle banche italiane, mentre stavolta sembra essere il governo a dover farsene carico, sempre che non si arrivi alla cessione al Fondo di risoluzione o al medesimo Fitd.

La posizione di Intesa è netta, tanto che si «considera necessaria per la conclusione e l’efficacia dell’operazione una cornice legislativa, approvata e definitiva che, fra l’altro, assicuri le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi della totale neutralità dell’operazione» sui conti dell’acquirente, considerando anche «la copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione e la sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni comunque avanzati nei confronti di Intesa per fatti antecedenti la cessione». Finiscono in vendita Bim e le banche del Sud, Apulia e Nuova. Per le ultime due ci sono già delle offerte. Mentre Arca sgr (40%) non interessa a Intesa.

Intesa prende, ma nulla vuole dei guai miliardari causati dal crac delle due venete. Ben si comprende il perché, visto che è già oggi la prima banca del Nordest con un numero di sportelli (800) molto vicino a quello che sommano Vicenza e Veneto. Il nodo degli esuberi sarà quindi una delle partite più delicate. Farsi carico della gestione delle due banche a un passo dal default appare più un’operazione di «solidarietà nei confronti del Paese», come l’ha definita il presidente di Unicredit, Giuseppe Vita, che un ricco business. Proprio Unicredit, che ha lavorato a lungo sul dossier, non sembra interessata ad andare avanti, anche se traspare una logica di supporto a un’operazione che è vista con favore, anche perché rende più forte il sistema nazionale, diminuendo la percezione del rischio. Il terzo partecipante alla fase finale di analisi, i francesi di Bnp Paribas, si è invece sfilato nella notte della vigilia.

Positive le reazioni. In Borsa, prima dell’annuncio, Intesa perdeva lo 0,5%; dopo è arrivata a guadagnare il 2,45%, trascinando il listino. Favorevoli alla soluzione i presidenti della Compagnia di San Paolo, Francesco Profumo, e della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, che sono i due principali azionisti di Intesa. Ottimismo dal fronte sindacale, con Lando Maria Sileoni, segretario della Fabi, che ha evidenziato come quella prospettata da Intesa «sia la giusta soluzione per risolvere un gravoso problema che incombe sull’intero settore bancario e sulla stessa economia italiana». La soluzione si avvicina. Ma servirà l’ok dell’Europa e dell’Antitrust, oltre a un decreto governativo che potrebbe arrivare lunedì prossimo.

CORRIERE.IT

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