M5s, i due padri fascisti antesignani del “vaffa”: il lessico familiare di Di Maio e Di Battista
di CONCHITA SANNINO e CONCETTO VECCHIO
La politica del vaffa l’ho lanciata io, negli anni Settanta, a Civita Castellana lo sanno tutti”. Ruspante e perennemente teso a rivendicare la sua fede fascista, Vittorio Di Battista, il padre del deputato M5S Alessandro (“spero che mio figlio diventi più cattivo di me”), ama il gesto esemplare. Ne sa qualcosa il ministro Dario Franceschini, quando convolò a nozze con Michela Di Biase, a Sutri, nel Viterbese. Era il settembre 2014. All’improvviso, nel cuore della festa, sbucò lui, Dibba senior, e medagliò il ministro d’insulti. Franceschini, basito per quell’irruzione da commedia all’italiana, ne chiese conto ad Alessandro appena lo incrociò. Il quale, a tu per tu, provò a scusarsi per l’irruenza dannunziana del genitore, che vent’anni prima aveva coperto di contumelie anche Massimo D’Alema che veleggiava attorno all’isola di Corfù. Tempo dopo, in un comizio a Ferrara, la città del ministro della Cultura, Di Battista junior rivendicò la contestazione allo sposalizio del ministro.
Tre giorni fa il candidato premier in pectore del M5s Luigi Di Maio ha detto che tra i Cinquestelle “c’è chi guarda a Berlinguer, chi alla Dc e chi ad Almirante“. Per la prima volta nel Pantheon cinquestelle veniva issato il leader del Msi. Ora una cosa accomuna del resto Di Maio e Di Battista, i dioscuri del grillismo: i rispettivi padri sono stati ferventi missini; Antonio Di Maio, imprenditore edile a Pomigliano d’Arco, con solide amicizie nel centrodestra napoletano, tentò tre volte di entrare in consiglio comunale negli anni Ottanta e Novanta: senza successo; Di Battista senior, commerciante di prodotti idraulici a Fabrica di Roma, vi riuscì, nel consesso di Civita Castellana.
“Mio padre mi ha insegnato l’irriverenza”, racconta nella sua biografia A testa in su Di Battista. “Sono da sempre molto amico di Vittorio”, dice Adriano Tilgher, ex Avanguardia nazionale, una vita spesa nell’estrema destra. “Ci conosciamo dai tempi dell’Università, militavamo nel Fuan Caravella, lui faceva legge, io fisica, un grande goliardo, ma anche un uomo serio”. Nelle file del Fronte nazionale di Tilgher Vittorio Di Battista si candidò nel 2000 alle provinciali di Viterbo, prese lo 0,9 per cento. Prima ancora era transitato brevemente per An, quindi migrò in Fiamma tricolore e in Azione sociale, piccole sigle della destra sociale; nell’estate del 2010 lo videro a Mirabello, alla convention dei finiani, che si erano appena separati da Berlusconi. Lo ricordano per via del fascio littorio sul distintivo. Era lì in odio al Cavaliere, sentimento che distillava nel blog “Il Paese delle balle”, su cui adesso campeggia la copertina del libro di Dibba. “Non ricordo più perché scelse altre strade. È sempre stato un uomo inquieto, desideroso di cose nuove”, ne traccia il profilo psicologico Tilgher. Nel 2001 si candidò alla Camera per l’Idv, ottenne il 2 per cento nel collegio Lazio 2. Lo ricorda, Antonio Di Pietro? “Veramente, no”, dice l’ex pm. “Però l’altro giorno alla Camera mi sono intrattenuto con il figlio”.
Quando Di Maio si presentò al consiglio comunale nel 2010, prese 54 voti. Tre anni dopo era vicepresidente della Camera. Il padre inizialmente non apprezzava le scelte del figlio. “La sua visione della politica era legata ai vecchi partiti e questo creava conflitto” ha raccontato Di Maio junior all’Espresso. “Il Di Maio padre è sempre stato con i fascisti, anche se si batteva per gli operai dell’Alfa Sud”, raccontano a Pomigliano, dove nessuno è stupito di vedere Giorgio Almirante collocato nel museo dei padri nobili grillini. “Era nostalgico di Almirante, io di Berlinguer”, ha raccontato a Panorama Raffaele Lello Di Pasquale, insegnante di educazione fisica all’Imbriani, il liceo di Luigi. Dove Luigi presentò una lista di alternativa a quella della sinistra, la chiamò Mas, acronimo di Memento audere semper, “ricorda di osare sempre”, e nome della squadriglia di incursori della Marina – la X Mas di Junio Valerio Borghese, appunto – vero e proprio mito dei militanti di estrema destra negli anni Settanta. “Quando i fascisti hanno visto dissolversi il loro mondo anche Antonio ha finito per dare ragione al figlio, archiviando le divisioni tra loro”, racconta un amico di famiglia a Repubblica.
I Di Maio hanno una società di costruzioni, l’Ardima srl (A come Antonio, R per Rosalba, la sorella architetto di Luigi, Dima è il timbro del cognome), di cui è amministratore il fratello 23enne Giuseppe, videomaker. Luigi Di Maio vi detiene il 50 per cento, ma senza ruoli di funzione. Se ne occupa essenzialmente il padre. “Va molto bene, soprattutto con i privati”, dicono in città.
Di Maio senior è un uomo riservato, Vittorio Di Battista, negli anni, ha rilasciato invece molte interviste video. “Le scelte di mio padre sono di mio padre, io in passato ho sempre votato a sinistra pur poi pentendomene”, premette Di Battista nella sua autobiografia. Ma di recente ha precisato meglio il suo pensiero: “È più importante essere onesto che antifascista”. A Gianni Minoli, che lo incalzava dopo la vittoria del 4 dicembre – dopo una strenua campagna spesa da Dibba in difesa della Costituzione, che dalla Resistenza trae la sua origine – il deputato si è rivelato terzista: “Parlare di fascismo e antifascismo oggi è come parlare di guelfi e ghibellini”.
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