Il grande incubo a sinistra: perdere nelle Regioni rosse
Non è facile averne piena consapevolezza, ma l’Italia del voto sta cambiando pelle. Fenomeno lento, costante, ma significativo nel suo progredire segnato da un’incertezza che è sì segno dei tempi, ma anche di un mercato della politica che dir fluido è poco.
Si sgretola, sotto i nostri occhi stufi e disincantati, persino il dominio del maggior partito del centrosinistra proprio lì dove si è radicato dal Dopoguerra in avanti.
Non c’entra soltanto Renzi con le relative diaspore provocate nel Pd; si tratta piuttosto di un fenomeno legato allo sbiadirsi della proposta, alla «giolittizzazione» del potere che esso incarna. Come accadde quando decenni di trasformismo e parcellizzazione dei potentati resero torbida l’atmosfera alla vigilia della prima guerra mondiale. Processo evidente persino nei cambi di nome: dal Pci al Pds, dai Ds all’Ulivo, fino all’ultima, anonima versione di partito senza altre qualificazioni che non siano contenute nel termine «democratico» (tautologia pura, in un sistema che democratico lo è per definizione).
È anche per questo che non starà nelle ripercussioni sulla politica nazionale e sul governo, il valore dei ballottaggi che si disputano domani in 111 comuni italiani con più di 15mila abitanti. Quanto piuttosto nella radiografia abbastanza realistica di come sta cambiando nel profondo la struttura politica del Paese. Con gli undici ballottaggi delle quattro «regioni rosse» (Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria) con il più alto margine di incertezza nel risultato, come dimostra un’approfondita ricerca dell’Istituto Cattaneo. Rilevante, il dato, perché in tutte le altre cento sfide l’indice calcolato su due parametri scelti (voti raccolti al primo turno e differenza tra primo e secondo) sta nei limiti ordinari.
Nelle regioni «rosse» no, ed è questo il primo e più profondo segnale di inquietudine che percorre in queste ore il Nazareno. Al punto da non sorprendere che il segretario Renzi abbia evitato di andare in sostegno ai propri candidati di questo secondo turno. Non può far illudere il buon risultato ottenuto nel «primo tempo» della competizione elettorale, dove il centrosinistra si è confermato vincente in 28 dei 49 comuni che hanno eletto il sindaco al primo turno (+2 rispetto al passato). La posizione di partenza era infatti di ampio vantaggio rispetto ai contendenti: sia del centrodestra, sia dei Cinquestelle, sia della miriade di liste civiche che sono spuntate in questi anni (altro segno d’incertezza, diremmo). Chiaramente in difficoltà i grillini, per i quali la prima prova rappresenta una salita spesso insormontabile; in lieve flessione il centrodestra (che di comuni ne ha persi due). Ma è nel ballottaggio che la partita andrà a definirsi. Il M5s non potrà di sicuro far miracoli, perché la competizione nel 90 per cento dei casi sarà un affare riservato tra centrodestra e centrosinistra. Però i grillini al secondo turno possono contare sull’«effetto terza forza», che dovrebbe (potrebbe) ricevere voti da entrambi gli altri forni. Più o meno irrilevanti, invece, saranno nei 73 comuni dove si scontrano destra e sinistra, anche perché tradizionalmente lasciano libertà di voto.
Così, in questi ultimi, la classificazione dell’Istituto Cattaneo fa capire che sono scontati i duelli di Gorizia, Asti, Belluno, Lecce e, in misura lievemente inferiore, a L’Aquila e Rieti. Troppo distacco tra il primo e secondo per assistere a rimonte clamorose (diverso sarebbe se i grillini decidessero di orientare i propri elettori). Invece gli scontri dall’esito con il massimo dell’incertezza – saranno a Taranto, Oristano, Verona, La Spezia, Trapani, Lodi, Alessandria, Parma e Piacenza (più un numero cospicuo di comuni non capoluogo delle regioni «rosse», come detto). I due terzi dei ballottaggi, infine, vivranno un tasso intermedio di incertezza. È il caso di Padova, Pistoia, Lucca, Monza e, soprattutto, Genova. Inutile aggiungere che chi accenderà la Lanterna genovese prenderà, politicamente parlando, il jolly di queste amministrative.
IL GIORNALE