L’Europa deve ritrovare anima e identità

Il vertice europeo di ieri si è occupato di molte cose, troppe. Perlomeno è positivo che abbia dato grande rilievo alla sicurezza (proposta di un fondo europeo per la difesa e di misure contro il terrorismo). Che dalle dichiarazioni di intenti si passi subito ai fatti non è molto probabile. Per una combinazione di inerzia burocratica e di incertezza politica. Sappiamo che poche foglie si muoveranno nell’Unione prima delle elezioni tedesche di settembre. Non sappiamo invece quali saranno i futuri equilibri di potere ora che la Francia, con Macron, ha di nuovo un presidente forte e assertivo. Chi pensa che, semplicemente, si ricostituirà l’antico condominio franco-tedesco (come suggerisce la conferenza stampa congiunta di Merkel e Macron) la fa troppo facile. Perché l’Unione è oggi molto più ampia (ci sono molti più Paesi) e dunque è molto più difficile da governare rispetto ai tempi in cui c’era quel condominio. Perché la Germania è oggi molto più forte della Francia e, nonostante Macron, lo squilibrio di potenza fra i due Paesi non potrà essere ridotto. Perché , infine, è da diversi anni che la Germania è abituata ad essere il dominus incontrastato dell’Europa. Non sarà facile, per la sua classe dirigente e la sua opinione pubblica, riadattarsi all’antico ruolo del comprimario. Ma ammettiamo pure che l’incertezza politica possa effettivamente ridursi e che Macron riesca a ridimensionare almeno in parte la supremazia tedesca.

Resterebbe comunque il compito immane di ridare (o dare) all’Europa una identità e un’anima che oggi, agli occhi di milioni di europei, essa non possiede. Ridare identità e anima: detta così, questa può anche apparire solo come un’altra inutile affermazione retorica, bla bla, fuffa, fumo senza arrosto. Ma in realtà dare una identità e un’anima a un aggregato umano, pur difficilissimo nella pratica, non lo è in teoria. Si tratta di decidere, e fare conoscere in modo chiaro e solenne a tutti gli europei, quali siano le due o tre priorità che contano, su cui l’Unione si impegna ad agire ora e nei prossimi anni. Bisogna dire: noi facciamo questo e questo e siamo ciò che facciamo. Le priorità su cui l’Unione dovrebbe impegnarsi sono due. La prima è nelle sue corde, ha a che fare con la sua «missione» originale. Si tratta di investire nella difesa e nella promozione del libero commercio, un’impresa oggi ad alto tasso di politicità date le propensioni protezioniste dell’Amministrazione Trump. E si spera anche che la proposta Macron contro gli investimenti cinesi in industrie europee cosiddette strategiche non sia anch’essa protezionismo e basta.

Il secondo tema su cui l’Europa dovrà impegnarsi è la sicurezza (il vertice di ieri mostra che i governanti europei lo hanno capito ma siamo solo ai primi vagiti). L’Europa è un continente sempre più insicuro e i governi nazionali, da soli, non possono tenere a bada le sfide.

Sul tema della sicurezza però bisogna intendersi. Occuparsene seriamente significa farlo senza velleitarismi. Non sto infatti parlando della mitica (e al momento irrealizzabile) «difesa comune». Viene per lo più invocata in chiave antiamericana (anche la proposta del fondo per la difesa, al momento, sembra solo una velleitaria replica a Trump). Una vera difesa comune — che, in quanto tale, possa fare a meno della Nato — non è possibile, di sicuro non in tempi ravvicinati. Gli europei (tedeschi e italiani inclusi, o per primi) difficilmente sarebbero disposti a finanziarla. Inoltre, Brexit, allontanando dal resto dell’Europa la più forte potenza militare europea ,di sicuro non è di aiuto. Ma, si dice, adesso c’è Trump e l’epoca della Pax Americana grazie alla quale sono state garantite all’Europa pace, benessere e libertà per oltre settant’anni è finita. Forse è così e forse, invece, Trump è un incidente di percorso (nella storia ci sono, eccome, gli incidenti di percorso). Se davvero la Pax Americana e l’ordine liberale che essa ha garantito fossero svaniti, allora potremmo solo prepararci al peggio: chiusure nazionaliste, tirannie, forse anche guerre. È ciò che normalmente accade quando tramontano gli ordini liberali.

Posto dunque che non potremo fare a meno di mantenere — dalla economia alla sicurezza — uno stretto rapporto con gli Stati Uniti (le alternative sono peggiori) restano molte cose che l’Europa può fare autonomamente per tutelare la propria sicurezza. Ne cito una soltanto. Occorre una politica comune per neutralizzare quei criminali di guerra che sono i foreign fighters, coloro che sono andati a combattere con lo Stato islamico, e che ora tornano in Europa. Ciò che è venuto fuori dal vertice di Bruxelles a questo proposito è poco e insufficiente, Si tratta di gente giovane, addestrata all’uso di armi automatiche e esplosivi. Basta che un pugno di loro decida di entrare in azione e i morti in Europa si conteranno a centinaia. Occuparsi di sicurezza significa, ad esempio, mettere a punto norme comuni contro i foreign fighters e investire soldi nel coordinamento necessario per metterli in condizione di non nuocere.

Le identità (vale anche per la oggi introvabile identità europea) non si forgiano con la retorica o l’ideologia. Si creano con le opere, con ciò che si fa — concretamente, rapidamente e efficientemente — per assicurare la sopravvivenza dei raggruppamenti umani.

CORRIERE.IT

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