“La situazione può precipitare”. Minniti inverte la rotta dell’aereo e cancella gli impegni negli Usa
Un dietrofront aereo più eloquente dei numeri e della difficoltà a reperire le strutture di accoglienza. Negli ultimi 4 giorni sono state salvate 10.500 persone nel Mediterraneo, dai sindaci non sempre c’è disponibilità ad ospitarli sul proprio territorio, ma la conferma che l’emergenza migranti sia oramai esplosiva è il rientro immediato in Italia del ministro dell’Interno.
Il ministro non ha fatto in tempo ad atterrare a Roma e ha subito chiesto e ottenuto un incontro urgente con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Perché è evidente che, sia sul piano nazionale sia su quello internazionale – soprattutto per fare pressioni su Bruxelles -, occorre un impegno diretto da parte del governo. Molti e spinosi i temi sul tavolo del confronto tra il premier e Marco Minniti. Doppio il fronte di preoccupazioni per quest’ultimo. Da un lato, quello esterno relativo al traffico di esseri umani in corso in Libia. Dall’altro, un capitolo interno di questioni sul tappeto, dal rapporto politico con i sindaci (in particolare quelli della Lega Nord) alla gestione del problema in modo da evitare che la realtà degeneri com’è avvenuto ieri con l’invasione dell’autostrada tra Catania e Gela, da parte dei migranti del Cara di Mineo.
La situazione è davvero al limite, finora sono sbarcati sulle nostre coste 70 mila migranti, e, considerato che si registra il 26 per cento in più degli arrivi del 2016 (anno in cui arrivarono 180 mila persone ) la stima entro la fine dell’anno si aggira intorno ai 230 mila sbarchi.
Al momento ci sono 90 mila persone pronte a partire dalla Libia nei prossimi tre mesi che sono i più comodi, per le condizioni climatiche e del mare, alla traversata di chi parte verso la terra promessa.
Ma la questione principale, al di là dei numeri, è la sempre maggiore complessità nella sistemazione degli extracomunitari sul nostro territorio nazionale. All’esame del ministro ci sono due ipotesi: delle mini tendopoli (due per provincia in modo da non creare dei ghetti, sempre nell’ottica della distribuzione equa e diffusa) al ricorso alle caserme. Non solo: si procederà a una verifica della potenzialità di accoglienza di tutti gli edifici pubblici in disuso, dalle scuole ai capannoni utilizzati in passato come magazzini.
Mentre sui numeri si dovrà aprire una nuova discussione a livello politico. A dicembre tra il Viminale e l’Anci la quota di accoglienza era stata fissata a 200 mila unità e un eventuale aumento sarà concordato con l’associazione dei Comuni. Fino ad oggi non c’è stata la necessità, ma il numero delle persone accolte si sta pericolosamente avvicinando a quota 200 mila, anzi è destinato a sfiorare i 230 mila e, dunque, non è escluso che nei prossimi giorni ci sia un’iniziativa da parte del ministro in questo senso.
Il piano d’emergenza, inoltre, prevede altri due punti. Uno riguarda l’intensificazione della collaborazione con la guardia costiera libica, formata da nostro personale e dotata di 10 motovedette ristrutturate dall’Italia, e la guardia libica di frontiera, lungo i 5 mila chilometri al confine con Ciad e Nigeria. L’altro si concentra una maggiore collaborazione a livello europeo per stabilire che chi soccorre in mare deve poi farsi carico anche dall’accoglienza. L’obiettivo del Viminale, insomma, è che anche Spagna, Francia, Malta, ma anche Olanda e Irlanda dopo aver recuperato in mare i migranti facciano la loro parte e li accompagnino sul loro territorio invece che sulle nostre coste meridionali.
Questa possibilità rappresenterebbe sicuramente un punto di svolta, quanto mai prezioso quindi una presa di posizione chiara e inequivocabile da parte del presidente del Consiglio. Un suo intervento in questa direzione avrebbe certamente un peso specifico importante per cambiate le carte in tavola.
Anche perché il tema diviene ogni giorno più urgente. Soprattutto per la distanza sempre più ravvicinata tra veri e propri esodi. Mentre finora si era infatti registrato un picco ogni due settimane, negli ultimi sette giorni non si è potuto tirare un attimo di respiro. Nel weekend di Pasqua, per fare un esempio, arrivarono in Italia 8700 persone, due settimane dopo quasi 4 mila. E sinora c’erano sempre state due settimane di tempo per trovare una sistemazione ai profughi.
Ora però la situazione è al limite. E c’è più di un campanello d’allarme di cui si deve tenere conto. A partire dalla Libia, dove i trafficanti di esseri umani dimostrano un’organizzazione logistica sempre superiore e sono diventati un’industria economica che produce milioni di euro. Fino al nostro Paese, dove serpeggia il timore che a breve possa verificarsi un episodio che esasperi ulteriormente gli animi. Da un incidente in mare (più di un’ecatombe si è verificata negli ultimi anni) a una rivolta di cittadini che non vogliono convivere con i profughi, il rischio di un brutto imprevisto è dietro l’angolo.
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