La paura dei renziani: “Congiura anti-Matteo”

di GOFFREDO DE MARCHIS

ROMA. “Mi raccomando: Occidentali’s karma”, scrive Matteo Renzi ai fedelissimi nel giorno dell’attacco massiccio contro di lui. Come dire: mantenete la calma, atteggiamento zen. Eppure sia lui sia i suoi generali sono fiumi in piena. E la furia dell’acqua corrisponde a quella dell’anima. “Non vedo una sola analisi che spieghi quello che è successo alle amministrative. L’unica lettura è l’ostilità e il tentativo di isolamento nei confronti del Pd”, dice il segretario ai collaboratori. Tradotto: farlo fuori dalla politica, indebolirlo fino allo stremo, altro che salvare il Partito democratico.

La posizione del leader e dello stato maggiore viene sintetizzata nelle parole taglienti del presidente dem Matteo Orfini: “Ci vogliono costringere a discutere di alleanze e di centrosinistra solo per fare un piacere a loro e a chi ha perso il congresso. In pratica per sei mesi dovremmo fare la campagna elettorale a Pisapia che nessuno conosce e che a occhio non ha nemmeno i voti per entrare in Parlamento. Anzi, non a occhio, perché se non sbaglio la lista Pisapia a Milano ha preso il 3 per cento. Con tutto che portava il nome dell’ex sindaco. Tutto questo non succederà”. Un messaggio chiaro a Andrea Orlando e a Dario Franceschini.

Non sono dichiarazioni zen, ma hanno il pregio della chiarezza. La porta di Largo del Nazareno resta chiusa. Anche se i pacificatori disegnano un altro scenario: “Cacciare Renzi non è possibile. È possibile invece immaginare un’alleanza come dicevamo fin dall’inizio, che vada da Calenda a Pisapia benché alla fine di un percorso. Noi costruiamo il nostro, loro ne costruiscono un altro. Alla fine troveremo il punto di incontro. Ma diciamo basta alle geometrie politiche”.

Quelle geometrie portano a un solo risultato: mettere in discussione la candidatura a premier di Renzi. Di più: costringerlo a rinunciarvi in partenza. Il segretario dice ai fedelissimi di non occuparsi di Dario Franceschini, con il quale è furibondo (lo fa solo Ernesto Carbone esprimendo il pensiero di Renzi), ma di tenere il filo con Romano Prodi. Sebbene Renzi lo consideri a tutti gli effetti un protagonista della “congiura”, uno degli attori principali della spallata. Il Professore però fa sapere che non ingranerà la retromarcia. Alla sua nota durissima, aggiunge poche considerazioni, altrettanto ultimative nei confronti di Renzi: “Prendo atto e rinuncio a fare il collante, il Vinavil. Non funziona, è una causa persa e a me non piacciono queste cause”. Significa che uscirà dal Pd? Risposta velenosa: “Non si può abbandonare un partito al quale non si è iscritti da 3 anni “.

Prodi giura anche che fino alla fine rimarrà neutrale tra Renzi e Pisapia, ma la sua nota fa saltare il tappo che Walter Veltroni aveva anticipato nell’intervista a Repubblica. Ricapitolando, emerge il quadro di un vero smottamento del Partito democratico. Veltroni, Prodi, Franceschini e Piero Fassino che ne condivide il giudizio e l’analisi. Sono i padri fondatori del Pd e, guarda caso, anche interlocutori privilegiati del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. A loro va aggiunto Nicola Zingaretti (che sabato andrà alla manifestazione di Piazza Santi Apostoli), partner di tutta l’area vicina al premier a Roma e nel Lazio. Defilato ma attentissimo, rimane Enrico Letta. Anzi, i renziani considerano l'”esule” del Pd la vera carta nel mazzo di Prodi, sempre che il Professore sia solo un king maker e non giochi una sua partita. Alcuni raccontano di un incontro molto importante avvenuto qualche giorno fa tra il Professore e l’ex premier al quale era presente anche Arturo Parisi. In questo modo, l’accerchiamento è completo.

La situazione è molto complicata, anche se i fedelissimi di Renzi dicono che “Matteo se lo aspettava e tra un paio di giorni la tempesta rientrerà”. Il contrario di ciò che pensa un prodiano di peso, con una certa memoria storica: “Questa fase mi ricorda il centrodestra nel 2007 alla vigilia della crisi del governo di Romano. Un bel giorno Berlusconi salì sul predellino, s’invento il Pdl e sconvolse la politica”. Ma chi può essere l’uomo del predellino a sinistra, chi ha la forza che aveva allora il Cavaliere?

L’isolamento di Renzi, al di là delle dichiarazioni di facciata, appare oggi un dato di fatto. Non basta la scelta zen a mascherare l’arrabbiatura del segretario. Gli attacchi disorientano gli elettori, come dice Renzi, ma minano la stabilità del gruppo dirigente. Graziano Delrio ammutolisce quando gli mostrano la dichiarazione di Prodi. È un brutto colpo per chi crede nella stagione ulivista ma è un renziano convinto. Agli amici il ministro delle Infrastrutture indica una via d’uscita: “Diciamo subito di sì alle primarie con Pisapia. Sono sicuro che le vincerà Matteo. Una nuova legittimazione non è lesa maestà e non può fargli male”. È una scelta. Da fare a prescindere dalla legge elettorale, dalle coalizioni sì o no. Anche perché se qualcuno spera che, attaccato su tutti i fronti, Renzi faccia un passo indietro “non lo conosce – dice Delrio – . Non ci credo nemmeno se lo vedo”. In questo modo la guerra è appena iniziata.

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