La fermezza è inevitabile
La scelta italiana di mettere in mora l’Unione Europea ipotizzando il divieto di attracco per le navi straniere cariche di migranti, segna certamente un deciso cambio di strategia. È la linea della fermezza che finora non si era mai riusciti a percorrere. Ma nell’ultima settimana qualcosa di nuovo è successo e il governo guidato da Paolo Gentiloni ha evidentemente avuto la percezione che la situazione potesse davvero degenerare. Come ha chiarito il ministro dell’Interno Marco Minniti, mai prima d’ora era infatti accaduto che arrivassero in appena tre giorni 11,500 migranti.
Mai erano state avvistate in mare 22 navi dirette nei porti italiani. E dunque il titolare del Viminale ha chiarito di fronte al consiglio dei ministri che senza una presa di posizione forte, il rischio di un’invasione impossibile da gestire, può diventare concreto. L’iniziativa del governo è condivisa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha definito molto difficile la situazione che il nostro Paese deve affrontare. In pochi mesi le imbarcazioni delle organizzazioni non governative si sono moltiplicate.
Giorno dopo giorno è aumentato il numero delle associazioni che hanno come obiettivo primario il salvataggio dei migranti. È un’opera meritoria che deve essere appoggiata e sostenuta anche economicamente. Ma che deve essere soprattutto governata. E invece per mesi l’Italia ha assistito impotente mentre queste navi si posizionavano in acque internazionali e attendevano l’arrivo di gommoni e pescherecci da cui trasbordare uomini, donne e bambini da trasferire nel nostro Paese. Ha subito la loro attività anziché guidarla.
I risultati sono ormai evidenti: ci sono centinaia di migliaia di stranieri che vengono accolti nel nostro Paese senza alcuna speranza di futuro, sempre più spesso destinati a perdersi visto che non hanno possibilità di ottenere l’asilo politico. E dunque è con questa realtà che adesso bisogna confrontarsi. Anche tenendo conto che nonostante le promesse di reale cooperazione, l’Unione Europea si è limitata a mettere a disposizione una parte dei finanziamenti, pur nella consapevolezza che l’emergenza non si può affrontare soltanto con i soldi. Nei mesi scorsi ci si è illusi che l’accordo siglato con la Libia potesse risolvere ogni problema. In realtà, dopo il patto stretto a febbraio dal premier Gentiloni, è apparso chiaro che il presidente Fayez al-Serraj non aveva il pieno controllo del Paese e dunque non era in grado di garantire una lotta efficace contro i clan che organizzano le partenze. Il ministro Minniti continua la sua trattativa con le tribù del sud che certamente potrà portare risultati, ma i tempi non sono brevi e invece è diventato urgente intervenire.
L’ipotesi di vietare l’ingresso in porto alle navi straniere è una mossa che può rivelarsi vincente. Un deterrente efficace. Anche perché, se davvero la soluzione per salvare le persone che si affidano agli scafisti è quella di andare a prenderli quasi sotto costa, molto più utile sarebbe la creazione di corridoi umanitari gestiti insieme da quegli stessi Stati che concedono la loro bandiera alle navi delle Ong. Una grande operazione internazionale che garantisca un futuro a chi non ha niente da perdere. L’alternativa è quella di intervenire direttamente nei Paesi d’origine creando campi di accoglienza e affidando alle organizzazioni che si muovono sotto l’egida dell’Onu le procedure per i richiedenti asilo. Un impegno che l’Unione Europea aveva preso, ma che finora non è riuscita a concretizzare stretta tra i veti incrociati di chi si oppone a politiche di accoglienza, ma anche di chi non ritiene di dover fornire alcun contributo neppure dal punto di vista economico.
In attesa che da Bruxelles arrivi una reazione alla mossa italiana, sarà interessante vedere che cosa accadrà nel nostro Paese. Anche tenendo conto che quello dell’immigrazione è sempre stato un tema da campagna elettorale. Ieri, la maggior parte dei partiti ha espresso un plauso alla decisione presa dall’esecutivo ma non è escluso che di fronte alla direttiva, comincerebbero le polemiche e i distinguo. È un rischio che non si dovrebbe correre. Di fronte a una presa di posizione così forte è necessario essere uniti. A meno che non si pensi che il problema dei migranti debba essere sfruttato soltanto a fini propagandistici.
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