I fedelissimi fanno quadrato: “Senza Renzi è finito il Pd”
Matteo Renzi e i suoi non hanno dubbi: «È partito l’affondo per farlo fuori, politicamente si intende», spiega uno degli uomini a lui più vicini. «Pensavamo lo avrebbero fatto a ottobre, hanno anticipato i tempi. Ma, forse, li hanno sbagliati: perché senza Matteo, semplicemente non c’è più il Pd». È soprattutto la sortita di Dario Franceschini che ha fatto scattare l’allarme, «Dario ha visto partire un treno e ci è salito sopra…», è il ragionamento del dirigente Pd vicino a Renzi. Una tesi che il ministro ha respinto con forza, anche nei colloqui avuti in questi giorni con Lorenzo Guerini: «È un problema politico, quello che pongo, non sto dicendo che Matteo deve farsi da parte, sarei un pazzo se lo facessi. Ma nel partito serve un’interlocuzione, non possiamo sapere sempre tutto dai giornali». Peraltro, anche i rumors che arrivano da Fi non sono incoraggianti: lo stesso Berlusconi, in attesa di capire come finisce lo scontro nel Pd, adesso sarebbe assai freddo nei confronti dell’ex premier come interlocutore privilegiato.
Il segretario dem, dunque, appronta la controffensiva, dice di non voler cadere nella trappola della rissa, su Facebook preferisce parlare del bonus cultura («Altro che flop») per poi aggiungere: «Le polemiche lasciamole a chi le fa di professione. Parliamo di questioni vere». Questo proverà a fare a Milano, oggi e domani. Renzi aprirà i lavori di «Italia 2020», l’iniziativa con i circoli Pd pensata per definire il progetto dei prossimi anni. È su quello, dice Renzi, che si vedrà con chi ci si può alleare: non ci possono chiedere, è il ragionamento, di fare le alleanze mettendo insieme tutti in maniera astratta, vediamo quali sono le posizioni su fisco, lavoro, sicurezza. Soprattutto, il leader Pd non intende fare «abiure», come spiega uno dei suoi: «Se ci chiedono l’inversione a “U” sul Jobs act o sulla Buona scuola, la risposta è no. Non siamo disponibili». Paletti precisi, per dire che con gli ex Pd lo spazio per un’intesa è quasi inesistente. L’ennesimo, chiaro, messaggio anche a Giuliano Pisapia, che domani riunisce a Roma «Campo progressista» e Articolo 1: nessun dialogo se la premessa è che Renzi deve farsi da parte. Renzi, però, è intenzionato a far pesare anche i voti delle primarie, «perché non è pensabile che il voto di 2 milioni di elettori venga rimesso in discussione dopo due mesi per un risultato alle amministrative».
Se Renzi alza il tiro Romano Prodi, invece, continua a scegliere il basso profilo. E al congresso della Cisl, incalzato dalle telecamere, ricorda che lui è solo «un pensionato» e per questo non parla di politica, né di Renzi o della crisi del Pd. Salvo poi aggiungere che «i pensionati pensano. Ed è per quello che è importante essere in pensione, per avere il tempo di pensare». Quando poi entra in sala sono subito applausi scroscianti ed in tanti fanno la fila per stringergli la mano. La padrona di casa, Anna Maria Furlan, lo presenta come «un grande amico del sindacato», riconoscendogli innanzitutto «la grande capacità di tenere insieme i sindacati, il Paese, l’Europa». «Se ha intenzione di riaprire la tenda non siamo qui in tanti pronti a dargli una mano», dice il segretario dei pensionati Cisl Dario Bonfanti.
Prodi per tutto il tempo si tiene ben alla larga dalle polemiche: parla dell’Unione europea («Il più grande successo pacifico dal dopoguerra»), di Europa a due velocità («Non è quella che sognavo, ma va bene), di euro («L’unico strumento che abbiamo per costruire il nostro futuro») e del ruolo dei sindacati, «senza i quali la centralità del lavoro non esiste». «Sostanzialmente faccio il predicatore – sottolinea -. Vado a predicare sull’Europa». Ma anche in questa veste invoca una rinascita della politica, «per combattere le disuguaglianze sociali» e capace di mettere in campo idee lunghe anziché «ragionare sul breve periodo e solo per l’oggi», come ad esempio avviene sul tema tasse. Infine fa l’elogio del sistema elettorale francese «fatto apposta per raggruppare, che ha permesso a Macron di vincere». In una situazione, sottolinea, «che è identica a quella che c’è oggi da noi».
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