Benvenuti a Vasco Park la città che si è fermata per fare largo alla musica
Dice: ma lei l’ha mai vista Modena così vuota? «Non saprei, vengo da fuori». Sono le due del pomeriggio di venerdì e il vigile urbano davanti all’Hotel Canalgrande, cinque minuti dal Duomo e dieci dalla stazione, dà l’impressione di essere bravissimo a non fare niente. E soprattutto a farlo con gesti lentissimi.
Gli hanno detto di sì in 220 mila. Che è come mettere due litri d’acqua in un vaso che non ne ha mai portati più di uno. Record del mondo frantumato. Cancellati i 160 mila di Ligabue. «Saremo mica da meno di Reggio Emilia?». Campanili musicali. In ogni caso per la città è diventato l’avvenimento del decennio. Era almeno dai tempi di Pavarotti, che se n’è andato proprio due lustri fa, che non sentivano un friccicore così. Da mesi non si parla d’altro.
Livelli di sicurezza israeliani e discussioni italianissime, che hanno spinto il sindaco, Gian Carlo Muzzarelli, ad affrontare i polemici con queste parole: «Voi siete matti, ma quando mai ci ricapita una storia del genere?». Non alla lettera, ma il senso era quello. Poi è arrivato anche uno studio della Cna a dire che per Modena l’indotto di questa festa principesca sarà di sei milioni.
Fanno piacere? Sì, ma non calmano il dibattito perché il Comune, per garantire ordine, successo e sicurezza, ha emesso una sacrosanta serie di ordinanze sovietiche. Sospesi gli esami maturità, sospesi i mezzi pubblici – «Girate a piedi che fa anche bene» – sospesi persino i funerali fino a domenica alle 14. Che è un po’ come dire: per favore non morite tra giovedì e venerdì. Vietati naturalmente gli alcolici, le bottiglie di vetro, i bastoni per i selfie, i computer portatili. Vietatissime le auto. «Tenetele in garage». Chiuso il casello di Modena Nord.
Poi dicono che nessuno è profeta in patria. Qui o si fa di Modena la capitale mondiale del rock – copyright rossiano – o si resta periferia per sempre. Maxi schermi ovunque. Cinema collegati come ai tempi di Rischiatutto. Come dice Vasco? «Voglio trovare un senso a questa vita. Anche se questa vita un senso non ce l’ha».
Solo che i consigli, i richiami e le ordinanze, hanno spinto la città a barricarsi in casa. Molti uffici sono chiusi. Molti negozi. Alla stazione, dove i treni speciali previsti per la notte sono esauriti, i primi gruppi cominciano ad arrivare verso le sei. «Noi dalla Puglia». «Io da Ragusa». «Noi da Toronto». Una marea che sale piano, destinata a diventare oceano oggi. Di fianco a Modena Park piccoli accampamenti di tende. Musica a tutto volume e reggiseni bianchi che regalano l’ennesima citazione: facci godere. Si viene qui per stare bene. Solo il servizio di sicurezza è già a pieno regime. Cani, telecamere, cinque chilometri di transenne, metal detector, vigili del fuoco, ambulanze.
«Un lavoro così grosso non l’avevo mai fatto», dice Danilo Zuffi, direttore di produzione del kolossal e collaboratore di Vasco dal 1996. Ha fatto sotterrare quasi tre chilometri di cavi e di fibre ottiche, montare 29 colonne del suono capaci di far sentire la musica con la stessa qualità e potenza a cinque metri dal Komandante o a 375, dove saranno assiepati gli ultimi vascomaniaci. Dietro il palco, grande come l’isola d’Elba, due gru da quattrocento tonnellate sorreggono migliaia di luci. «Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo. L’unica cosa che mi preoccupa un po’ è il vento», dice Zuffi. «Non sarebbe bello se queste torri cominciassero a ballare». Sarà la gente a ballare, no? «Questo è sicuro».
Oltre le transenne una ragazza mora, forse ventenne, implora un poliziotto. «Mi faccia passare, voglio fare un selfie davanti al palco». Quello la guarda come se la ragazza avesse sostenuto che la terra è piatta. «Stia lontana, per favore». Lei dice solo: peccato.
LA STAMPA