Dopo il voto calano M5S e Pd Balzo della Lega, ora è al 15%

Le elezioni comunali di giugno hanno rappresentato, come di consueto, una sorta di ordalia e anche il dibattito post-elettorale ha seguito il copione usuale: tra i diversi esponenti politici, infatti, il significato del risultato uscito dalle urne nonché le presunte motivazioni di voto degli elettori sono risultati tutt’altro che univoci. E ciò è accaduto anche all’interno degli stessi partiti o tra partiti appartenenti alla stessa area. Si è assistito a una sorta di gioco delle parti: c’è chi ha utilizzato toni trionfali, chi ha minimizzato un esito negativo, chi ha drammatizzato. Quasi sempre in modo apodittico, senza lasciare spazio a dubbi. Ma chi ha vinto secondo gli italiani? La maggioranza relativa degli intervistati (37%) assegna la vittoria a tutto il centrodestra nel suo insieme e a costoro si aggiunge il 14% che indica Berlusconi e il 9% Salvini; a seguire il 24% ritiene che abbia vinto l’astensione, indice di disaffezione dei cittadini nonostante si trattasse delle elezioni comunali, cioè quelle più prossime agli interessi dei cittadini. Chiudono la graduatoria il Movimento 5 Stelle e Renzi, citati rispettivamente dall’11 e dal 5%.

Anche tra le file del Pd la maggioranza attribuisce la vittoria al centrodestra o ai suoi leader, in particolare a Salvini (16%, peraltro alla pari di Renzi) e una quota non trascurabile (37%) accentua l’importanza attribuita al «partito del non voto». Tra i pentastellati la maggioranza attribuisce la vittoria al proprio movimento (37%) e, a seguire, all’astensione (30%) mentre gli elettori del centrodestra appaiono decisamente galvanizzati e considerano il risultato soprattutto una vittoria dell’intera area politica e in secondo luogo del proprio leader: Salvini, indicato dal 42% dei leghisti, e Berlusconi, dal 32% dei suoi elettori. Le opinioni si dividono riguardo alla strategia futura del Pd: il 54% degli italiani ritiene che il partito di Renzi debba rafforzare l’unità a sinistra mentre il 46% è di parere opposto e pensa che l’alleanza con la sinistra possa determinare una sconfitta per il Pd. Si tratta di una divisione presente anche tra gli elettori del Pd (55% a 45%).

Il voto di giugno ha rovesciato le opinioni riguardo alla data delle prossime elezioni politiche: oggi infatti il 56% vorrebbe che si votasse alla fine della legislatura mentre il 44% auspica di votare il più presto possibile. Solo i pentastellati preferiscono il voto subito (60%), mentre nel centrodestra gli elettori sono decisamente più divisi, probabilmente perché nonostante il positivo risultato ottenuto alle comunali ritengono che ci sia bisogno di più tempo per definire i programmi e, soprattutto, la leadership. Analogamente tre elettori su quattro del Pd vorrebbero votare a fine legislatura, in parte perché molti si oppongono a far cadere il governo Gentiloni che continua a mantenere un buon livello di consenso, in parte perché si sono acuite le tensioni interne, testimoniate dalle dichiarazioni di alcuni importanti esponenti del partito, e la ricomposizione richiede tempo. Anche gli orientamenti di voto hanno fatto registrare alcuni cambiamenti degni di rilievo. In particolare rispetto alla settimana antecedente il primo turno delle comunali i due principali partiti fanno segnare una flessione, più marcata per il M5S (-2,3%) rispetto al Pd (-1,5%). Il vantaggio del primo sul secondo si è assottigliato e si attesta allo 0,5% (28,3% a 27,8%). Al contrario il centrodestra appare in crescita, soprattutto per merito dei due principali soggetti: la Lega passa dal 12,4% al 15% e sorpassa Forza Italia che dal 13,5% sale al 14,3%. Fratelli d’Italia fa registrare una lieve flessione (da 4,8% a 4,2%). Nell’insieme, quindi, si attesta al 33,5% (+2,8%).

Alla luce di questi dati, simulando la ripartizione dei seggi secondo quanto previsto dall’Italicum, l’unica maggioranza possibile sarebbe quella tra M5S (193 deputati) e sovranisti (104 per la Lega e 28 per FdI). Viceversa un’alleanza tra Pd (197), Forza Italia (99) e liste autonome/voto estero (9) si fermerebbe sotto la soglia dei 316, non potendo contare né sull’area centrista né sulla sinistra che al momento risulterebbero sotto il 3%. Ipotizzando una lista unica di sinistra la situazione cambierebbe perché ci sarebbero i presupposti per una ipotetica (anche se poco realistica) maggioranza extralarge che comprenda, nell’ordine, Pd (186), Forza Italia (93), sinistra (37) e liste autonome/voto estero (9). Insomma, nonostante qualche cambiamento, la governabilità continua ad essere una chimera.

CORRIERE.IT

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