Le quattro novità d’Europa
A tredici mesi dalla Brexit l’Unione Europea è un cantiere di iniziative che promettono di ridisegnare gli equilibri nel Vecchio Continente ma in nessuna di queste l’Italia ha, per ora, un ruolo da protagonista.
Sul fronte dell’Eurozona il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel condividono la volontà di creare un ministro delle Finanze per la moneta unica, hanno spinto l’Ue a dotarsi di un fondo sulla difesa comune, hanno siglato l’accordo per un nuovo jet, cercano l’intesa sul nome di chi nel 2019 sostituirà Mario Draghi alla guida della Bce e promettono di diventare ancora più concreti nel rafforzare il nucleo dell’Unione Europea dopo le elezioni tedesche del 24 settembre. Per avere un’idea di cosa si prepara bisogna ascoltare Macron quando spinge la Germania tanto a «sfruttare il proprio surplus per far crescere i Paesi Ue più deboli» quanto ad «assumersi più responsabilità sulla difesa». Ovvero, la gara franco-tedesca sarà sul rilancio dell’Ue.
Sul fronte franco-americano le novità non sono da meno perché Macron, d’intesa con il presidente Donald Trump, è all’offensiva: prima ha siglato con cinque Paesi del Sahel il patto per una forza anti-terrorismo di 4000 uomini da impiegare in Africa Occidentale contro i gruppi jihadisti a fianco del contingente francese, in Mali dal 2013; poi ha condiviso con Washington l’approccio alla Siria basato sull’impegno a ricorrere alla forza «se Assad userà le armi chimiche» e sull’invio di truppe speciali a fianco delle forze ribelli addestrate dal Pentagono; e infine vuole prendere le redini della crisi libica invitando a Parigi il premier Sarraj e il rivale Haftar per convincerli a creare un esercito unico, con il sostegno di Egitto, Marocco ed Arabia Saudita. Sono mosse che nascono dalle convergenze di approccio Macron-Trump, esaltate dal cerimoniale militare del giorno della Bastiglia e rafforzate dall’intesa fra le coppie presidenziali – incluse Melania e Brigitte – suggellata dalla cena al ristorante stellato Michelin sulla Torre Eiffel.
Sul fronte sino-tedesco l’orizzonte è forse ancora più ambizioso perché la recente visita in Germania del presidente Xi Jinping ha visto Angela Merkel immaginare di trasformare l’attuale ruolo di primo partner economico europeo di Pechino in un tassello strategico del progetto «One Belt, One Road» – la nuova Via della Seta – fino ad arrivare a un accordo di libero scambio capace di avere un impatto profondo sugli scambi globali. Berlino non fa mistero di temere le acquisizioni cinesi di aziende hi-tech – come avvenuto con Kuka Robotics – ma tali paletti servono proprio a preparare il negoziato che verrà. Tanto più che l’arrivo nello zoo di Berlino dei panda Jiao Ping e Meng Meng evoca l’apertura di Nixon a Mao nel 1972, anch’essa accompagnata dalla «diplomazia dei panda».
Ultima, ma non per importanza, l’iniziativa dei «Tre Mari» perché nel recente summit a Varsavia di Trump con i leader dell’Est e dei Balcani si è parlato di progetti assai concreti: forniture di gas liquefatto Usa dai porti polacco di Sminoujscie e croato di Krk, oleodotti dal Mar Nero all’Adriatico, ricostruzione delle fatiscenti infrastrutture dell’era sovietica e commesse di armamenti. In un’atmosfera segnata dalla volontà dell’Europa ex comunista di essere più vicina a Washington che a Bruxelles, per proteggersi dalle crescenti minacce di Mosca.
Ciò che colpisce è come ognuna di queste quattro novità europee abbia radici nella Storia dei protagonisti. Il dialogo fra Parigi e Berlino sul rilancio della costruzione europea rilucida le idee dei padri fondatori Jean Monnet e Robert Schuman, la convergenza franco-americano sulla sicurezza evoca l’alleanza che consentì agli Stati Uniti di diventare indipendenti nel 1776, la partnership sino-tedesca ripropone la visione di Bismarck sulla Germania proiettata verso Oriente, e il summit dei «Tre Mari» conferma il legame privilegiato degli ex Paesi comunisti con l’America che vinse la Guerra Fredda.
Davanti a tali e tante novità che si affollano sul palcoscenico europeo l’Italia appare in ritardo: imprigionata nel Mediterraneo da un’emergenza sui migranti che non riesce a risolvere, indebolita in Libia dalle rivalità con gli altri partner europei e dal congelamento dei rapporti con l’Egitto, priva di un ambizioso progetto di rilancio della costruzione europea e con all’orizzonte una scadenza elettorale che potrebbe veder prevalere i partiti della protesta. Sono limiti e difficoltà che imprigionano il nostro interesse nazionale perché per farsi spazio nell’Europa del post-Brexit serve creatività strategica.
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