Quando il bonus è esagerato, anche se c’è il merito
Viviamo in un’economia capitalista, quindi stipendi e buonuscite non ci dovrebbero scandalizzare; però i 25 milioni con cui Flavio Cattaneo ha lasciato Tim un po’ scandalosi lo sono.
Intendiamoci: prezzi e salari li fa il mercato; i 30 milioni spesi per il fuoriclasse immaginario Gabigol sono molti di più dei 222 chiesti per il fuoriclasse autentico Neymar. Non sappiamo se Cattaneo sia Gabigol o Neymar; probabilmente, una via di mezzo. Cresciuto come spesso accade in Italia anche grazie a relazioni pubbliche, anche politiche – Fiera di Milano, Rai, Terna -, passato con successo al settore privato, sostiene di esserseli meritati tutti, i 30 milioni con cui Bolloré l’ha congedato (subito dopo il titolo Tim è salito del 4 per cento). Resta il fatto che con la sua buonuscita si potrebbero pagare gli stipendi mensili a circa diecimila dipendenti della sua ex azienda; quando la regola di Olivetti – un grande imprenditore, non un bolscevico – era che lo stipendio più alto non potesse superare di dieci volte quello minimo. E a un impiegato normale non basterebbero molte vite per arrivare ai due milioni che l’amministratore delegato di Tim guadagnava ogni mese.
Ora, il problema non è l’estate felice che passeranno Sabrina Ferilli e il suo consorte. A ben vedere, il caso Cattaneo rilancia una serie di questioni: il peso crescente nei nostri settori strategici della Francia, sostenuta da un sistema politico che produce leadership e stabilità, mentre l’Italia ha davanti mesi di incertezza; l’assetto tecnologico e proprietario della rete su cui passano le telecomunicazioni, che arrovella la politica sin dai tempi delle privatizzazioni e poi del piano Rovati. Ma ci ricorda pure che nel nostro Paese esiste una questione salariale.
C’è chi guadagna decisamente troppo rispetto alle proprie capacità e al proprio contributo, e chi troppo poco. I manager a volte vengono liquidati a peso d’oro anche se hanno danneggiato le aziende: in tal caso non si paga il merito, ma lo status. Ci sono poveri che lavorano, ma hanno redditi insufficienti a pensare di mettere su famiglia, di fare figli, di costruirsi un avvenire. E c’è una classe media che si impoverisce anche perché i suoi salari sono fermi.
Le cause sono molte. Il dumping sociale dovuto alla globalizzazione, all’automazione, alla rivoluzione digitale e anche all’immigrazione non rafforza certo i lavoratori italiani. Ma proprio il caso Cattaneo dimostra che in un’azienda, quando si vogliono trovare, i soldi ci sono. Inoltre il lavoro resta il bene più tassato, nonostante sia sempre più scarso. Chi possiede patrimoni immobiliari e finanziari sta meglio di chi lavora molto e bene. La ricchezza viene estratta più che prodotta. Qualsiasi governo dovrebbe mettere la questione salariale ai primi posti della sua agenda, dopo quella demografica, cui è legata. Perché è vero che i nostri nonni facevano molti figli disponendo del reddito di cinque minuti di Cattaneo; però vivevano in un’Italia che andava dal meno al più, non viceversa.
CORRIERE.IT
This entry was posted on martedì, Luglio 25th, 2017 at 08:55 and is filed under Editoriali - Opinioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.