Da D’Alema e De Mita: come si riduce l’assegno

Tutti uguali. Non solo davanti alla legge, non solo nel lavoro, ma anche al termine della propria carriera. Il ddl Richetti sul taglio dei vitalizi dei parlamentari, che oggi andrà all’approvazione della Camera, equiparerà dal punto di vista pensionistico gli «onorevoli» ai cittadini comuni appagando quell’oscura pulsione al furore giacobino che alberga un po’ in tutti noi. E così d’un colpo Publio Fiori, il Paperone dell’assegno parlamentare, potrebbe perdere 4mila euro al mese, l’ex presidente del Senato e vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, quasi 3mila come il suo collega sindaco di Benevento e politico di lungo corso Clemente Mastella. Anche i dioscuri di Botteghe Oscure, Massimo D’Alema e Walter Veltroni, dovranno fare dei «sacrifici» accettando una decurtazione di 2.200 euro al mese.

Le modifiche introdotte dal ddl erano state recepite in parte dai regolamenti delle due Camere già nel 2011, ma sull’onda emotiva del peronismo grillino si è voluto fare di più. Il taglio degli assegni pensionistici di deputati e senatori sarà retroattivo (quasi un unicum costituzionale pari a quello della legge Severino). In pratica, varrà anche per «loro» il metodo di calcolo del trattamento interamente contributivo che vale già per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996. In secondo luogo, anche i parlamentari come i comuni mortali – dalla prossima legislatura – potranno ricevere la loro «pensione» se avranno raggiunto l’età prevista dalla legge Fornero (66 anni e 7 mesi e non 65 anni scalabili di 5 per ogni legislatura completata). Le nuove norme varranno anche per le Regioni che dovranno tagliare del 50% i loro ricchi vitalizi.

L’obiettivo è conseguire risparmi sostanziosi sui 218 milioni (reversibilità inclusa) sborsati da Montecitorio e da Palazzo Chigi nel 2016 per i circa 2.600 pensionati a fronte di una cinquantina di milioni versati da deputati e senatori. Secondo il presidente dell’Inps, Tito Boeri (noto fustigatore di costumi), la «conversione» al modello contributivo vale un 40% di risparmi sull’assegno medio. E tale decurtazione si può applicare teoricamente ai vitalizi in essere ancorché alcuni siano parzialmente calcolati in questo modo per il 2012 e per i tre mesi del 2013 della scorsa legislatura. Ecco perché si può ipotizzare che se la legge passasse non solo D’Alema e Veltroni dovrebbero rinunciare entrambi ai circa 5.500 euro attuali per incassarne poco più di 3.300. Idem per Gianfranco Fini, ex presidente della Camera (con vista su Monte Carlo) e artefice della scissione del Pdl, passerebbe da 5.800 a poco più di 3.500 euro mensili netti. Una mazzata inferiore a quella che potrebbe subire, ad esempio, l’ex ministro Emma Bonino che passerebbe da 6.700 euro circa a 4mila. Una perdita di 2.700 euro netti per la pugnace (anche contro la malattia) esponente radicale ed ex ministro. Taglio di soli 1.600 euro per l’antiberlusconiano militante Antonio Di Pietro: da 4mila a 2.400 euro.

A rimetterci in misura maggiore sarebbero i «retributivi» completi come l’ex ministro Publio Fiori che oggi vanta un assegno da 10.131 euro al mese che d’un colpo si trasformerebbero in 6.079 euro nonostante le otto legislature di contributi versati. In qualche caso anche figurativi perché il vecchio regime prevedeva cinque anni di versamenti anche quando si andava a elezioni anticipate. Niente da fare: Franco Marini (6 legislature) e Ciriaco De Mita (11) dovrebbero obbligatoriamente rinunciare a più di un terzo di quanto accumulato. È il livellamento verso il basso imposto dal nuovo corso. Chissà cosa ne penseranno coloro che dalla parte degli operai, degli ultimi, dei dimenticati hanno fatto tante battaglie come l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti (da 4.852 a 2.911 euro) o Nichi Vendola (da 4.985 a 2.991).

Tutti uguali. Chi è sceso in piazza per gridare «basta casta» come l’ex Pci Ferdinando Imposimato (da 4.580 a 2.748 euro) e chi invece, pur avendo fatto il ’68, ha sempre difeso l’istituzione come l’ex segretario di Dp, Mario Capanna, che potrebbe vedere il suo vitalizio da 3mila euro netti mensili quasi dimezzato. «Tutti uguali» sembra la parola d’ordine di oggi: chi faceva un «certo» cinema come Ilona Staller in arte Cicciolina (2.231 euro che potrebbero diventare 1.338) e chi invece cantava «il cielo in una stanza» come Gino Paoli che rischia di scendere da 2.140 a 1.284 euro. Anche il «golden boy» (o l’Abatino come lo definì Gianni Brera), cui tutta l’Italia sarà sempre grata per il gol del 4-3 contro la Germania a Messico ’70, potrebbe essere «vittima» dello Zeitgeist. Gianni Rivera potrebbe vedersi corrisposti 3.100 euro anziché gli attuali 5.200. Se siamo tutti uguali, vale pure questo.

IL GIORNALE

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