Ci uccidono per strada e rispondiamo coi gattini

Mentre i corpi ormai freddi sanguinavano ancora sulle grosse piastrelle roventi della Rambla di Barcellona, sul web impazzavano le foto dei gattini.

Sì dei gattini. Non è solo una stupida moda (era già avvenuto per altri attentati), non è neppure un tormentone. No è l’auto anamnesi del popolo del web, che è quel che resta dell’Occidente più che tramontato, che poi siamo tutti noi. È lo stupido esercizio di chi vuole chiudere gli occhi davanti alla realtà, cancellare la morte ed esorcizzare la paura pensando che il terrore si possa combattere con un meme. È l’immagine di una cultura malata, rassegnata e già sottomessa, che non ha la forza di tirare fuori gli artigli e mette la testa sotto la sabbia come gli struzzi.

Una società che pensa di poter arginare la violenza con le marce della pace, le fiaccolate, i gessetti colorati, i fiori nei cannoni, i vari je suis e la solita retorica muffosa delle braccia aperte e dell’accoglienza a tutti i costi (e Barcellona è stata una delle capitali di tutto questo). Loro ci ammazzano e noi postiamo felini. Mentre i nostri colleghi umani sono sbudellati sull’asfalto delle nostre città.

È tutto un cortocircuito di ipocrisie buoniste. Un fuggi fuggi dalla realtà per non vedere quello che i nostri occhi dovrebbero guardare: le decine di corpi riversi sul cemento, le vittime di una furia tutt’altro che cieca, ma anzi precisa nella sua follia sterminatrice. Siamo noi i ciechi, che fingiamo di non vedere, affetti da una presbiopia politicamente corretta che ci fa vedere nitidamente le stragi a migliaia di chilometri da noi e sfoca quelle nelle nostre strade.

Persino Facebook, sempre lento e macchinoso nel rimuovere i contenuti osceni e i profili di propaganda dell’Isis, allestisce in fretta e furia un avviso che preceda le immagini della strage. «Questo video potrebbe mostrare contenuti grafici violenti o sangue». No, care felpe radical della Silicon valley, non «potrebbe». Questi video «mostrano» le immagini del cancro che sta togliendo la vita all’Occidente. Mostrano il nostro sangue. Non devono essere censurati come si fa coi filmati pornografici. Non debbono essere vietati ai minorati di buonismo. Devono essere visti da tutti. Il corpo del piccolo Aylan, esanime sulla battigia di una spiaggia turca, aprì gli occhi del mondo sul dramma delle migrazioni. E quindi si poteva pubblicare. Invece l’immagine del bambino riverso sul selciato spagnolo va rimossa. Oscurata. Nascosta nelle pieghe del web. Anticipata da un avviso per non sconvolgere i benpensanti. Non si sa mai che qualcuno dalle nostre parti si accorga che siamo in guerra. Shhh. Fate silenzio. Non diteglielo. L’orrore, invece, va guardato in tutto il suo schifo. Per poterlo combattere.

La prossima volta, sperando che mai ce ne sia un’altra, se proprio si vogliono censurare le immagini della morte con foto di animali, almeno si pubblichino i maiali. La cosa più vicina a queste bestie islamiche. Con rispetto parlando. Per i maiali.

IL GIORNALE

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